È uno sganassone affibbiato consapevolmente e freddamente. Mercoledì il presidente della Commissione Ue Juncker, la cancelliera Merkel e il presidente Hollande si vedranno a Berlino per un «vertice informale». Renzi non è invitato. In questo caso la forma conta molto più della sostanza. È improbabile che il summit estemporaneo, convocato con la scusa della presenza dei tre leader alla cena annuale organizzata dagli industriali europei nella capitale tedesca, prenda decisioni rilevanti. L’importante è il segnale inviato lasciando a casa l’Italia, e sancendo così l’esclusione da quel Direttorio europeo che pareva esser nato a Ventotene.

Merkel minimizza: «Nessun intento discriminatorio. Nessuna rottura. Gli incontri a due come a Maranello o a tre come a Ventotene si ripeteranno». Nessuna giustificazione però del mancato invito a Berlino. Si spiega perfettamente da sé, anche se la potentissima accompagna il bastone con la carota. Oggi Renzi è in punizione, quando si sarà messo di nuovo in riga torneranno i sorrisi. E gli inviti. L’escluso replica a muso duro riempiendo la rete e le agenzie di dichiarazioni bellicose. Al Washington Post dice che di questo passo la Ue rischia di perdere la sua unità. Su Facebook informa di aver «lanciato un appello al resto del Paese» perché tutti i sindaci intervengano sulle scuole: «L’Europa che vogliamo e che abbiamo contribuito a costruire non può essere l’ostacolo alla sicurezza dei nostri figli. Prima viene la stabilità delle scuole, poi quella delle burocrazie». A viva voce, durante una visita alla Ducati di Bologna, si scaglia contro l’austerity, «meccanismo sbagliato», «politiche che non servono a niente, anzi fanno male». Viva Obama: «Grazie a lui gli Usa hanno investito nella crescita e superato la crisi».

Il botta e risposta arriva dopo una settimana che ha visto precipitare lo stato dei rapporti tra Ue e Italia. Il tempo stringe. Martedì prossimo il governo dovrà varare la nota aggiuntiva al Def che, in una situazione completamente diversa e molto peggiore di quella prevista al momento di varare il documento nella primavera scorsa, sarà di fatto un nuovo Def. Dunque il governo picchia forte al portone europeo, ma stavolta lo trova blindato. Di giorno in giorno le dichiarazioni di Juncker come del presidente della Bundesbank si sono fatte più ostili. Se non ancora un No esplicito, almeno il suo necessario prologo: l’Italia ha già usufruito a man bassa della flessibilità.

Ma di quella decina almeno di miliardi il governo ha bisogno come dell’ossigeno. In caso contrario saranno impossibili gli interventi necessari, e a maggior ragione quelli propagandistici in vista del referendum. Sarà anche inevitabile, in base alla clausola di salvaguardia, aumentare l’Iva in gennaio. Difficile immaginare uno spettro più oscuro per Renzi, che promette da mesi il taglio delle tasse.
Dopo il fuoco incrociato della settimana scorsa e dopo la scortesia per il non-ospite di ieri la partita sembrerebbe chiusa. Probabilmente non è così. Il mancato invito, proprio come le dichiarazioni ruggenti di Renzi, sono la coreografia di una trattativa in corso e proprio i gesti clamorosi e le parole urlate rivelano che il tavolo non è ancora saltato. La Ue non ha intenzione di concedere l’intera cifra richiesta dal governo italiano, ma nemmeno vuole mandarlo a gambe all’aria. Qualcosa, quasi certamente, alla fine concederà. Però non tutto, non alla cieca e chiedendo contestualmente a Renzi di finirla con critiche continue che i vertici europei sopportano ogni giorno di meno. Per capire quale sarà il vero punto di caduta, al di là dei reciproci segnali gelidi ma non realmente sostanziali inviati in questi giorni, bisognerà aspettare la prossima settimana.

Nella difficile trattativa, Renzi non potrà contare su una «solidarietà nazionale» che gli sarebbe invece utile. Ma per questo le cose sono ormai andate troppo in là ed è proprio il capogruppo forzista Brunetta, solitamente pronto a sbraitare contro la Ue, a schierarsi stavolta con i falchi di Berlino e Bruxelles: «Renzi smetta di chiacchierare e faccia una legge che rispetti le regole europee». Un po’ forte, detto proprio da lui.