La pubblicità televisiva si è ridotta, ma è più cattiva
Ri-mediamo A proposito delle trasmissioni rivolte al pubblico dei minori, particolarmente seguite nei giorni natalizi, si assiste a un quadro preoccupante. E’ vero che i programmi per bambine e bambini, in base al comma 6 dell’articolo 37 del citato testo, non possono essere interrotti solo se di durata inferiore a trenta minuti
Ri-mediamo A proposito delle trasmissioni rivolte al pubblico dei minori, particolarmente seguite nei giorni natalizi, si assiste a un quadro preoccupante. E’ vero che i programmi per bambine e bambini, in base al comma 6 dell’articolo 37 del citato testo, non possono essere interrotti solo se di durata inferiore a trenta minuti
La pubblicità, croce e delizia della vecchia televisione generalista, non è mai scesa così in basso nella raccolta complessiva come quest’anno. Da tre lustri non andava così male. La causa sta certamente il Covid-19, che ha ridotto l’attività delle aziende inserzioniste.
Ma una parte non piccola del comparto è, ormai, appannaggio degli Over The Top (42% a 39%), la cui ascesa è continuata proprio nella pandemia per la fruizione massiva delle diverse piattaforme diffusive.
Tuttavia, se si restringe la coperta del valore de ricavi, diminuiscono i costi per contatto e gli spot meno cari hanno bisogno di trovare contenitori di maggiore ampiezza. Lasciamo stare, poi, l’aggiramento della disciplina in materia contenuta nella legislazione primaria e secondaria. Ad esempio, non è insolito durante un programma vedere la conduttrice o il conduttore fare le telepromozioni, aggirando le già blande indicazioni in materia. Mediaset, ma anche la Rai commettono simile peccato. Nei primi anni novanta volarono gli stracci, e ora non sembra neppure che qualcuno (l’Agcom?) vigili. Oppure, non è insolito nella fascia protetta per i minori tra le 16 e le 19 vedere spot di bevande alcoliche; o dover prendere atto della furbizia dei network di considerare i titoli di testa o di coda di un film fuori dal conteggio per moltiplicare le interruzioni, o di dividere l’opera non già in due tempi, bensì in due parti separate per azzerare il conteggio.
La materia è trattata dall’articolo 37 del Testo unico sulla radiodiffusione n.177 del 2005, che riprese la legge 122 del 1998, a sua volta ricettiva della direttiva europea del 1989. Il tutto (vedi proprio i commi sulle telepromozioni) piuttosto annacquato. E, però, legge in vigore.
A proposito delle trasmissioni rivolte al pubblico dei minori, particolarmente seguite nei giorni natalizi, si assiste a un quadro preoccupante. E’ vero che i programmi per bambine e bambini, in base al comma 6 dell’articolo 37 del citato testo, non possono essere interrotti solo se di durata inferiore a trenta minuti.
Già, però. Se si osservano i criteri utilizzati dai canali privati specializzati sull’offerta digitale terrestre, si coglie una doppia astuzia: mettere in sequenza cartoni omologhi ma leggermente diversi, e – comunque- inzeppare i contenitori di spot: generi alimentari in particolare. E’ stato studiato l’effetto negativo di un abuso di spot del genere, tanto per la salute quanto per la facile permeabilità dei giovani utenti: colpiti assai di più degli adulti consapevoli. I messaggi degli spot rimangono nell’immaginario a lungo.
Lo stimato sociologo Mario Morcellini scrisse, al riguardo, un libro controcorrente (La tv fa bene ai bambini, 2005), ma spesso interviene con parole – invece- preoccupate l’apposito comitato nazionale che si occupa del rapporto tra televisione e minori. La base giuridica risiede in un codice vincolante, trasfuso nel testo unico del 2005 e modificato dal decreto legislativo 44 del marzo 2010.
La questione va trattata con rigore, rifuggendo dai moralismi, ma pure dalla colpevole sottovalutazione. Una proposta: si tolga completamente la facoltà di introdurre le inserzioni nei programmi dedicati all’infanzia. Quei canali vanno liberati. Sarebbe un primo passo verso una compiuta riflessione sull’intera filiera delle risorse che affluiscono nel sistema. Basta pubblicità nei programmi per bambine e bambini, rispetto per il prestigioso genere dei cartoni animati.
PS: un caso tremendo di come la pubblicità possa essere un danno se mal utilizzata è stato l’inserimento di spot nel film curato da Gabriele Salvatores sull’Italia del lockdown (Fuori era primavera), trasmesso dalla terza rete della Rai la sera di sabato scorso. Un lavoro collettivo, diretto da un regista appassionato, capace di creare emozioni fortissime.
Già, si urlò quella sera al teatro Eliseo di Roma con Federico Fellini: non si interrompe un’emozione. Un’occasione persa per il servizio pubblico, che tale dovrebbe essere nell’approccio sentimentale con il pubblico. Cioè, l’Italia ferita dalla pandemia. Un’ipotesi di ravvedimento operoso: perché non replicare il film senza pubblicità e in una fascia oraria decente?
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