La nomina di Renato Brunetta a ministro della P.A. non appare una notizia molto positiva. Il professore ha già esercitato le stesse funzioni tra il 2008 e il 2011. In quegli anni Brunetta pretendeva che il problema della P.A. fosse per la maggior parte una questione disciplinare; come ci ricorda Wikipedia, parlava di dipendenti con scarsa voglia di lavorare, di impiegate che andavano a far la spesa in orario di lavoro, di poliziotti panzoni che facevano i passacarte.

Non sappiamo se nel frattempo egli abbia cambiato idea, ma ci sembra che dalle sue riforme, in particolare da quella sul sistema premiante per i dipendenti, non siano usciti grandi risultati, mentre i mali del settore si sono da allora aggravati.

La questione della riforma della P.A. è comunque una cosa molto seria e ci permettiamo anzi di affermare che essa è la madre di gran parte delle altre riforme, preliminare a far fare un salto di qualità al paese e alla sua economia. Tra l’altro, non basta varare altre leggi, bisognerebbe poi assicurarsi che esse vengano ben applicate e senza un’organizzazione adeguata questo di solito non succede.

È facile prevedere che, senza l’avvio di profondi cambiamenti, lo stesso Recovery plan, Draghi o no, appare destinato, almeno per una parte importante, al fallimento. Rebus sic stantibus, temiamo che non si riuscirà a spendere tutti i soldi disponibili, che quelli che saranno spesi lo saranno male, per una parte almeno, che, inoltre, i progetti subiranno gravi ritardi e registreranno extra-costi, che si avranno infine diversi casi di corruzione e di infiltrazioni mafiose.

Ricordiamo, tra l’altro, come da noi costruire un chilometro di autostrada o di linea ad alta velocità costi alcune volte di più che in Francia o in Spagna; per portare avanti un progetto ci si impiegano anche diversi decenni. E le varie lobbies nel nostro paese sono particolarmente forti.

Il confronto con gli altri paesi europei è impietoso. Potremmo forse pensare che un paese “latino” come la Spagna dovrebbe avere i nostri stessi problemi. Invece ha imparato a gestire una organizzazione complessa già a partire dal Cinquecento, quando creò la Casa de Contratacion a Siviglia per gestire gli affari americani. Per la Francia possiamo risalire ai tempi di Colbert, intorno alla metà del Seicento.

A parte le semplicistiche idee di Brunetta, un’altra proposta che emerge è quella che parte dall’assunto che la P.A. ha bisogno di essere “semplificata”. In realtà è, a nostro parere, vero il contrario, bisogna semmai, almeno per alcuni versi, “complessificare”; la P.A. lavora su schemi troppo semplicistici, lontani dalla complessità del reale.

Oltretutto non è vero che abbiamo troppi impiegati pubblici; da un confronto con la Francia o la Gran Bretagna, il numero dei nostri addetti appare nettamente inferiore.

È noto che abbiamo troppo pochi medici ed infermieri, troppo pochi insegnanti, ma anche troppo pochi ispettori del fisco e del lavoro. Inoltre, essi sono spesso male utilizzati. Né si può poi accettare di applicare, almeno per i progetti, il “modello Genova”, ciò che significherebbe smantellare ogni vincolo.

Anche Draghi, nel suo discorso al Senato, ha dato il suo contributo sull’argomento. Per lui, in particolare in tema di infrastrutture, “occorre investire sulla preparazione dei funzionari pubblici”: sì, è giusto, ma è un po’ troppo poco.
In passato, quando qualcuno ha voluto varare una riforma, ha messo al lavoro qualche giurista. Ora, non si tratta di un problema giuridico, o meglio non soltanto giuridico.

Né, come sembra pensare qualcun altro, di un problema di informatizzazione delle procedure (ah, quali meraviglie farebbe l’intelligenza artificiale, penseranno i più audaci!). Come dice un vecchio detto del settore, garbage in, garbage out, se dentro il sistema informatico metti dati e schemi sbagliati, lo stesso sistema ti darà risultati della stessa qualità. Bisognerebbe semmai mobilitare insieme giuristi, economisti aziendali, sociologi, informatici.

Peraltro, la P.A. non si riforma in pochi mesi. Ci vorrebbero alcuni lustri di lavoro costante, mentre i nostri governi durano spesso meno di un anno. Più in generale, il rapporto tra la politica e la tecnica è un problema mal risolto per quasi tutta la storia del nostro paese. Hic Rhodus, hic salta.

Tutti oggi si accaniscono a discutere di come spendere i soldi del Recovery fund, ma, come già accennato, molti di meno si preoccupano di assicurarsi che il processo di esecuzione funzioni. Fu forse Luigi XIV a pronunciare per primo la frase l’intendance suivra (dopo di lui, lo faranno Napoleone e De Gaulle), ma l’intendenza non seguì, ahimè, molto ed egli lasciò un paese allo sfascio e con le casse vuote, mentre alla sua morte nessuno lo pianse, neanche i più intimi, come ricorda nelle sue memorie il duca di Saint-Simon.