Lo spettacolo che Berlusconi continua a dare è più che mai surreale. Un condannato con sentenza definitiva va in giro senza che nessuno si preoccupi di dargli una sistemazione, giuridica o di eccezione, definitiva: dentro o fuori. Questa sospensione della decisione, rivela che, politicamente parlando, Berlusconi ha sempre alloggiato nella zona grigia di un’esistenza non vera: per vent’anni abbiamo convissuto con un morto che abbiamo amato o odiato credendolo vivo.

La presenza di questa figura tragicomica, in cui il carnevale e la quaresima convivono con tetra noncuranza, è stata una perpetua messinscena che ha eluso con perseveranza sia le regole giuridiche sia la vita. Nei momenti in cui la percezione dell’interesse collettivo si fa oscura l’attenzione è tutta sull’impostore (restando divisa tra negazione e denuncia) e si dimentica l’impostura. La comprensione dell’impostore, che non è l’ideatore ma l’incarnazione dell’impostura, e del contratto che dà origine alla sua esistenza, diventa più accessibile se si usa l’attore come suo metro di misura. L’attore è intensamente «isterico» nel suo lavoro: è e, contemporaneamente, non è il personaggio che interpreta. La profondità e la credibilità della sua interpretazione dipende dalla sua capacità di assumere transizionalmente e sperimentalmente l’altro nel suo mondo interno senza rinunciare alla sua distinta identità. Di questo ci serviamo come spettatori per poter identificarsi a nostra volta con il personaggio sulla scena, mentre manteniamo la debita distanza e differenza, e mettere dentro di noi in tensione due diversi modi di essere.

L’attore ci aiuta a aprirci all’alterità senza farsi alienare da essa, di restare eccentrici rispetto alla nostra concezione della vita e diversi dal personaggio ufficiale che le nostre coordinate socioculturali ci assegnano. L’impostore, invece, é fatto di narcisismo privo di desiderio: diventando tutt’uno con il personaggio che recita, può agire esclusivamente in funzione dell’amor proprio ma a condizione di appiattirsi sulle aspettative, magiche per definizione, che gli altri gli assegnano. Non inganna il suo interlocutore ma, da una posizione di potere che eccita, accetta di essere parte dell’inganno da cui entrambi dipendono. Nessuno aspetta realmente che le promesse sulle quali apparentemente regge il contratto dell’impostura siano rispettate, perché la loro funzione è di mantenere uno stato di attesa messianica togliendo investimento all’impegno nella vita vera. Quando i meccanismi di soddisfazione dei bisogni e dei desideri materiali e psichici sono inceppati e sentirsi vivi espone al rischio di ferite intollerabili. nasce una domanda insistente di impostura: far diventare il proprio desiderio un’aspettativa onnicomprensiva, indefinita che non può essere delusa finché ci sarà un oggetto consolatorio che può, con la sua presenza, rinviare a tempo indeterminato la sua impossibile realizzazione. L’impostore é chi incarna questo oggetto ed è, tra coloro che si riconoscono nel bisogno dell’autoinganno, il meno vivo, il più determinato a persistere nella sostituzione degli oggetti perduti del suo desiderio con la facoltà di disporre di cose di cui ha smarrito la chiave di godimento. È il morto che inseguendo la vita che si é lasciato sfuggire ha l’illusione di esser vivo. Berlusconi si è infilato in un vicolo cieco (come prima o poi succede a tutti gli impostori) ma siccome il vento dell’impostura continua a spirare forte non è sorprendente che il suo fantasma continua a stare con noi.