Era uno dei temi più spinosi del suo discorso alla Camera e Giuseppe Conte l’ha affrontato nell’unico modo in cui forse poteva farlo: facendo intendere, più che dicendo esplicitamente quale sarà la politica del governo giallorosso sull’immigrazione. Una scelta dettata al premier dalla prudenza e dalla necessità di avere i voti utili a far decollare il nuovo esecutivo. Così chi sperava in una esplicita messa in soffitta della politica dei porti chiusi, il segno di discontinuità tanto invocato per lasciarsi una volta per tutte alle spalle le scelte salviniane, almeno per ora è rimasto deluso. La svolta ci sarà, o almeno si spera, ma per il momento più che da una revisione delle norme in vigore potrebbe manifestarsi attraverso le scelte dei ministri più direttamente interessati dall’emergenza immigrazione: quello dell’Interno Lamorgese, della Difesa Guerini e delle Infrastrutture De Micheli, gli unici che ancora possono vietare l’ingresso nelle acque territoriali italiane a una nave con dei migranti a bordo. Decisione che molto probabilmente non verrà presa. Per verificarlo non ci sarà neanche bisogno di aspettare molto visto che in acque internazionali ci sono le navi di due ong, l’Alan Kurdi e la Ocean Viking, con in tutto 55 migranti che potrebbero decidere di dirigere verso l’Italia. «Il ministero è operativo, 24 ore su 24. Affronteremo anche questa emergenza se sarà un’emergenza», assicurava ieri in Transatlantico Lamorgese.

MODIFICHE ai decreti sicurezza, accordo in Europa per la distribuzione dei migranti e la revisione del regolamento di Dublino. Ma anche accoglienza e rimpatri. E’ lungo questo asse che Conte ha disegnato ieri le future mosse del governo. Sui due decreti cavallo di battaglia di Matteo Salvini il premier ha ripetuto di voler seguire i rilievi indicati a suo tempo dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e per quanto riguarda il sicurezza bis di voler tornare alla versione varata a maggio dal consiglio dei ministri «prima – ha spiegato suscitando le reazione della Lega – che intervenissero le integrazioni che, in sede di conversione, ne hanno compromesso l’equilibrio complessivo».

Si tratta di un passo indietro parziale, che comunque non cambia l’impronta anti-ong data al provvedimento da Matteo Salvini quando sedeva al Viminale. Anche se meno onerose restano infatti le multe per le navi che non rispettano il divieto di ingresso (da 10 a 50 mila euro invece che da 150 mila a un milione) e il sequestro dell’imbarcazione in caso di recidiva. Non proprio un buon inizio.

Per vedere il bicchiere mezzo pieno bisogna guardare a una parola chiave come «accoglienza». Il premier l’ha utilizzata più volte anche nei giorni scorsi, e lo stesso ha fatto il ministro Lamorgese che quando era prefetto a Milano si impegnò non poco per convincere i sindaci della provincia a farsi carico dei richiedenti asilo. Favorire l’integrazione, come ha detto ieri Conte alla Camera, significa ripristinare tutti quei servizi per i richiedenti asilo cancellati dalla riforma del sistema Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) voluta sempre da Salvini con il primo decreto sicurezza, come i corsi di lingua italiana o di formazione al lavoro.

UN NUOVO RAPPORTO CON L’UE L’obiettivo è quello di far dimenticare i litigi con Salvini, con la speranza di riuscire ad arrivare a un accordo definitivo per la distribuzione in Europa dei migranti che arriveranno in Italia superando così le emergenze dettate dal momento. Un primo appuntamento decisivo ci sarà il 23 settembre alla Valletta dove i ministri dell’Interno di Malta, Italia, Francia, Germania e Finlandia (in quanto presidente di turno dell’Ue) si vedranno proprio per discutere di questo. Altro punto importante riguarda infine la riforma di Dublino e in particolare la cancellazione dell’obbligo per il Paese di primo arrivo di farsi carico dei migranti. Chissà perché tutti continuano a ignorare che da più di due anni il parlamento europeo ha approvato un’ottima riforma che aspetta solo di essere esaminata dai capi di Stato e di governo.

La strada comunque è in salita e non solo per la scontata opposizione dei paesi di Visegrad e più in generale del Nord Europa, contrari al principio delle quote. Stando a quanto trapelato ieri da Bruxelles il nuovo commissario all’Immigrazione destinato a sostituire il greco Dimitris Avramopoulos non potrà appartenere a nessuno dei Paesi più direttamente coinvolti dall’emergenza immigrazione e quindi maggiormente interessati a mettere mano alla regolamento.