Ore decisive in Bielorussia: mentre andiamo in stampa, in piazza Indipendenza, dove ha sede il governo, decine di migliaia di persone stanno chiedendo a gran voce le dimissioni di Lukashenko. I pochi poliziotti che proteggono l’edificio hanno abbassato gli scudi e i manganelli e dhanno un atteggiamento ben poco ostile nei confronti dei dimostranti che gli porgono fiori.

DA TUTTI I QUARTIERI della periferie stanno marciando in decine di migliaia e in prima fila ci sono le donne che martedì hanno dato una svolta decisiva alla situazione quando il movimento sembrava ripiegare, schiacciato da 7 mila arresti e dalla violenza bestiale dei reparti antisommossa.

STANNO ARRIVANDO IN CORTEO anche le tute blu della fabbrica di trattori di Minsk che dovevano avere una riunione con il premier ieri pomeriggio, protrattasi solo qualche minuto visto che i lavoratori mettevano al primo punto della trattativa l’uscita di scena di Batka, «Paparino» come viene chiamato ironicamente nel paese Lukashenko. Contemporaneamente venivano liberati dalle prigioni in varie città molti detenuti. Sembra che non saranno rilasciati subito solo quelli in condizioni troppo disastrose per le botte e le torture subite in questi giorni. Liberati anche 32 dei 33 contractor russi arrestati qualche settimana fa che hanno raggiunto Mosca in aereo in serata.

SI TRATTA DI SEGNALI di una profonda divisione all’interno del regime ma la situazione, mentre scriviamo, è ancora in bilico. Lukashenko ha riunito il consiglio di sicurezza e lancia proclami bellicosi: «Non uscite nelle strade adesso! Rendetevi conto che voi e i vostri figli venite usati come carne da cannone!». Per Lukashenko in piazza ci sarebbe «gente con un passato criminale». Il pericolo ora è che tenti un’ultima avventura mobilitando i suoi fedelissimi dei reparti speciali o qualche reparto dell’esercito. Ma a questo punto la sua sorte sembra segnata.

L’aria per Lukashenko si era fatta pesante sin dal mattino. Si presentava a una riunione del ministero dell’edilizia sventolando i dati definitivi della commissione elettorale che lo confermano con l’80% dei voti presidente ma dimostrava di aver perso baldanza. Alla domande sugli scioperi, faceva spallucce, la prova provata che lo sciopero era diventato generale per davvero e che il governo aveva perso il controllo della situazione: uscivano nei piazzali i battaglioni compatti della classe operaia delle raffinerie e della metallurgia; la metro smetteva di funzionare e anche i musicisti della filarmonica e gli attori del teatro Kupalovsky lasciavano perdere l’arte per un giorno per partecipare alla protesta.

UN PICCOLO ’68 NELL’EX-URSS in cui la routine quotidiana viene sospesa e un popolo prova a prendere in mano il suo destino. Tikhonovskaya, la candidata dell’opposizione fuggita in Lituania, lasciava la proposta di un week-end di mobilitazione che risultava fuori tempo: in tutte le città del paese la gente si prendeva le piazze principali e a Minsk si metteva il marcia verso la sede del governo. Il rettore dell’Università di Minsk, Andrey Korol, si incontrava con gli studenti e affermava la «necessità del dialogo» per far uscire il paese dal caos e dichiarava che non ci sarà nessuna conseguenza per gli studenti che sono stati arrestati.

Si assisteva in serata anche a un rapido dietro-front della Russia: l’agenzia di stampa ufficiale iniziava a coprire in modo tambureggiante gli eventi dimostrando aperta simpatia per le manifestazioni di protesta. Un’operazione di recupero per Putin che appare difficile ma non impossibile, visti gli storici legami tra i due popoli.