Il piazzale antistante il tribunale di Napoli si è riempito lunedì di immigrati, attivisti e studenti in sostegno ai precari del progetto Bros. Come gli aderenti al movimento di lotta per la casa di Roma, anche i Bros la scorsa settimana sono finiti sotto accusa: dopo due tentativi andati a vuoto, per la terza volta i pm provano a istruire un processo che descrive la storia di una lotta contro la precarietà che dura da oltre 15 anni come un’associazione a delinquere. Venticinque le misure cautelari. Sabato ci sarà a Napoli il corteo regionale “per la libertà di movimento”.

Giovedì scorso la Digos ha fatto irruzione nelle case dei precari Bros sia nel capoluogo che ad Acerra e nella sede del centro sociale Banchi Nuovi: in dieci hanno avuto gli arresti domiciliari, per gli altri obbligo di dimora e divieto di lasciare il proprio domicilio fino alle ore 14. Le accuse vanno da devastazione a blocchi stradali, occupazione di uffici pubblici e interruzione di pubblico servizio, per tutti associazione a delinquere finalizzata a turbare l’ordine pubblico per fare pressioni sulle istituzioni ed ottenere “scelte gestionali della pubblica amministrazione corrispondenti a politiche sociali di tipo assistenzialistico”.

Tutto poggia sulle intercettazioni telefoniche e ambientali: “Ci servono kamikaze”, “Ci vuole il morto”, “Se non si fa qualche reato serio il lavoro non esce” sono le frasi rimbalzate sugli organi di stampa, contenute nel provvedimento emesso dal gip Eduardo De Gregorio su richiesta del pm Raffaello Falcone. Poi però lo stesso giudice avverte che il riferimento ai kamikaze non è “da intendere alla lettera, essendo per fortuna l’indole partenopea di regola poco propensa al fanatismo”. I Bros sono comunque pericolosissimi, spiega il procuratore aggiunto Giovanni Melillo: “Al fine di ottenere il ripristino di scelte gestionali della pubblica amministrazione corrispondenti a politiche sociali di tipo assistenzialistico e clientelare, venivano pianificati e realizzati, con pervicace reiterazioni, blocchi ferroviari e portuali, occupazione di uffici pubblici e di luoghi sacri e museali, devastazioni di sedi di partiti politici”. L’unica associazione a delinque napoletana che non ha portato a casa nulla. Questo però i pm non lo dicono.

I precari del Progetto Bros sono 3741 disoccupati formati per lavorare nel ciclo dei rifiuti, della raccolta differenziata e della bonifica delle coste, grazie a protocolli sottoscritti dagli enti locali e da ministri sia di centrodestra che di centrosinistra dal 2005 al 2009. Corsi e contratti a progetto per scarsi 500 euro al mese non hanno mai portato a una stabilizzazione. Poi nel 2010 l’amministrazione del governatore Stefano Caldoro ha deciso di rifiutare qualsiasi interlocuzione lasciandoli per strada a manifestare. Al ministero del Lavoro languono 7,5milioni di euro già disponibili che la regione rifiuta di utilizzare per stabilizzarli. Giovedì era previsto al ministero un nuovo incontro con comune e provincia di Napoli e regione, la tempistica delle misure cautelari sembra proprio un favore al governatore.

“L’accusa di associazione a delinquere, che rispediamo al mittente, e la turbativa dell’ordine pubblico – scrivono i Bros – andrebbe fatta a quanti, politici di destra come di sinistra hanno costruito sulla pelle dei disoccupati le loro fortune politiche alimentando, a solo scopo elettoralistico, aspettative e illusioni, puntualmente disattese, tra migliaia di disoccupati; a quanti, in tutti questi anni, hanno sperperato milioni di euro senza creare nessun posto di lavoro”.