Ancora sciopero. Ancora blocchi e picchetti dei lavoratori della logistica. Quell’importante hub merci che è la pianura padana è stata nuovamente l’epicentro delle lotte dei facchini impiegati nelle cooperative che gestiscono e organizzano lo smistamento su gomma: Milano (in particolare la Dhl di Settala), Piacenza, Brescia, Bologna, Verona, Padova, Treviso e poi più a sud, i magazzini Bartolini ad Ancona e a Roma (dove ha aderito anche la Sda). Se nel capitalismo del just-in-time, accelerazione e linearità nella circolazione sono lo spazio privilegiato della valorizzazione, la capacità del lavoro vivo di bloccare i flussi di scorrimento delle merci è l’arma principale nella mani dei lavoratori. E lo abbiamo visto nei mesi scorsi.

Di fronte al consistente danno economico e d’immagine che i picchetti hanno saputo produrre le aziende hanno dovuto di volta in volta accogliere le rivendicazioni dei lavoratori. Ma la partita resta aperta. «Ogni conquista è seguita dalla reazione padronale che punta a riprendersi quello che ha dovuto concedere alle lotte», ricorda un delegato Si.Cobas al picchetto dell’interporto di Bologna. Circa un migliaio di facchini insieme a studenti e precari, hanno bloccato dalle 5 di ieri uno degli snodi vitali del bolognese. La mobilitazione prosegue pressoché ininterrotta dallo scorso autunno, ma ha visto importanti momenti di lotta e significative vittorie anche nei due anni precedenti. È quasi mezzogiorno quando un lavoratore dal megafono grida: «Siamo tutti stanchi, ma andiamo avanti. Vinceremo noi». Il picchetto si è trasformato in un lungo corteo che attraversa un interporto per la gran parte deserto fermandosi davanti i magazzini gestiti dalle coop maggiormente implicate nel pesante sfruttamento del lavoro, per la gran parte migrante, del settore.

Lo sciopero avviato nella zona industriale di Padova da una festa è stato convocato dai sindacati di base Si.Cobas e Adl Cobas in vista del rinnovo del contratto nazionale che, dicono i delegati, «Cgil, Cisl e Uil vorrebbero addirittura peggiorare». 24 ore di astensione dal lavoro e rifiuto degli straordinari nei giorni precedenti e successivi, con picchetti che hanno interessato a macchia di leopardo i magazzini nelle diverse città. A Verona, mentre scriviamo la polizia si è schierata su pressione dei vertici di Gls per consentire l’ingresso di alcuni furgoni pieni di merce: «un chiaro atto di intimidazione», dice un delegato. Il movimento ha convocato negli ultimi mesi due scioperi generali (il primo lo scorso 22 marzo) con larghissime adesioni tra i lavoratori e il blocco effettivo delle merci.

Ma le mobilitazioni per la verità non si sono mai fermate. Il primo maggio, in occasione del May day, due grosse assemblee a Milano e Bologna avevano celebrato la festa dei lavoratori con una precisa indicazione di lotta. Nei giorni precedenti le mobilitazioni erano partite alla Granarolo. Il colosso del caseario made in Italy che in tempi di crisi fattura cifre a nove zeri, mentre si espande in Italia nelle municipalizzate e si consolida sul mercato europeo e internazionale, ha attuato una trattenuta del 35% per «stato di crisi» dalle buste paga dei facchini.

In una lunga catena di appalti e subappalti il lavoro viene affidato a consorzi di cooperative che all’ombra delle grandi committenti operano indisturbati nello sfruttamento del lavoro dei facchini, rigirando i contratti e il sistema fiscale. Le coop, veri e propri «dispositivi di schiavitù», giocano sul ricatto del permesso di soggiorno, e ormai svilite dell’originario significato mutualistico sono lo strumento nelle mani delle grandi aziende per far crescere i profitti. Il ciclo di lotte della logistica, ha invece cominciato a invertire le cose e tra i facchini impiegati nelle cooperative è cresciuta forte la determinazione per una battaglia che non vuole conquistare esclusivamente aumenti salariali e miglioramenti contrattuali ma è una battaglia prima di tutto per la propria dignità, portata avanti senza mai dividersi, utilizzando intelligentemente gli strumenti di lotta disponibili. E lo sciopero di ieri, inserito nella giornata europea di lotta contro l’austerity, ne è proprio il segno.