Il mondo agricolo pugliese, in particolare quello dell’olivicoltura ultrasecolare dell’Alto Salento, non si è rassegnato all’abbattimento degli alberi che hanno accompagnato generazioni e generazioni di agricoltori. Non si rassegna a pensare che quel paesaggio agrario tradizionale possa in qualche modo cedere il passo alle colture alternative che non più troppo timidamente vengono da più parti proposte, in barba a qualsiasi vocazionalità ambientale, rispetto delle tradizioni e dei paesaggi.

Nelle ultime settimane la protesta degli olivicoltori si è fatta più forte. Da quando l’emergenza fitosanitaria è esplosa: tutta l’area olivicola coinvolta è stata suddivisa in zone ben delimitate in funzione della diffusione e della necessità di contenimento della malattia. La zona infetta, più a sud, quella considerata ormai perduta in cui non c’è più alcun obbligo per gli agricoltori. É l’area in cui vediamo più diffusa l’esperienza con il protocollo ‘Scortichini’ con numerose decine di ettari di oliveti ammalati ma resistenti, impianti ritornati alla produzione di olive e di olio. Nella zona di contenimento, costantemente monitorata, ci sono regole rigide: nel caso in cui vengano individuate piante infette bisogna seguire protocolli specifici per eradicare quelle piante più altre nel raggio di una determinata distanza. Questa è la zona che separa l’area infetta da quella cuscinetto che è un’ulteriore fascia di controllo e monitoraggio che rassicura a oggi buona parte dell’olivicoltura della provincia di Bari e più a nord.

La Regione Puglia ha recentemente emanato un nuovo dispositivo che razionalizza tutte le delimitazioni sanando una stranezza che ha tenuto in forte allarme moltissimi olivicoltori. Una buona fetta dell’Alto Salento, infatti, è stata definita per lungo tempo area ‘ex-contenimento’, una delimitazione mai riconosciuta valida dalle norme europee e non contemplata se non da disposizioni regionali. In quest’area, che a rigore invece sarebbe ricaduta nella parte infetta, sono state applicate le norme del contenimento, quindi imposte tutte le azioni agronomiche a carico del suolo e il taglio di piante sintomatiche o, comunque, ammalate. Questa autonoma decisione della Regione Puglia ha finito per lasciare inermi gli agricoltori di fronte a interventi di ruspe che hanno eseguito ordini di abbattimento di alberi, ammalati si, ma vivi e produttivi, alberi che hanno assistito al mutare delle generazioni, che hanno visto passare guerre mondiali. Ma che non hanno resistito agli interventi risoluti dell’uomo che, tuttavia, dopo innumerevoli anni non sembra essere riuscito a contenere così efficacemente la diffusione del batterio.

Se da un lato bisogna sostenere l’attività di ricerca delle resistenze soprattutto nell’ambito della biodiversità regionale, la convivenza appare al momento l’unica strada, attraverso un misto di protocolli di contenimento e di tecniche agroecologiche che non trascurino tutto ciò che può farsi per il controllo della sputacchina, il vettore che porta in giro il batterio. Tutti devono remare nella stessa direzione, soprattutto le istituzioni di ogni ambito. E gli agricoltori, che hanno chiesto un impegno alle istituzioni, devono attivarsi anche loro con ogni sforzo per sostenere la battaglia affinché si possa tramandare alle future generazioni questo spaccato di olivicoltura ultrasecolare, un misto di fascino antico che ha regalato al nostro Paese paesaggi densi di storia, di agricoltura, di turismo, di ricchezza culturale.