Quando il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha lasciato il presidio dei Cobas a piazza Montecitorio, Virginia Taranto stava camminando verso piazza del Pantheon con gli altri colleghi Ata e i docenti inidonei partiti da Napoli ieri mattina alle cinque e mezza in autobus. Ci sono voluti cinque minuti per raggiungere la balaustra dove termina la sua corsa rabbiosa chi ha una protesta, una preghiera o una maledizione da lanciare contro quegli uomini in grisaglia, donne eleganti in tailleur e occhiali da sole grandi come fanali che entrano e escono dal Palazzo distante duecento metri e una mezza collina lastricata.

Virginia è una donna separata di 55 anni che vive nel quartiere San Giovanni a Napoli insieme alla madre di 87 anni e una figlia che frequenta il campus universitario di Fisciano, Salerno. L’appartamento è di proprietà della madre. Assistente amministrativa precaria da 15 anni nelle scuole della sua città, due ictus l’hanno resa invalida al 75%. Ha scoperto di essere diabetica e assume l’insulina. «Sono una donna separata – racconta – mio marito ha scelto di andarsene. Una mattina mi ha dato un bacio e al pomeriggio, per telefono, ha detto che mi lasciava».

L’esito del Consiglio dei ministri al quale anche Carrozza ha partecipato dopo un fitto scambio con i precari Cobas è stato fatale. La notizia si è abbattuta sul fragile equilibrio che regge il futuro prossimo di una famiglia composta da donne sole che vivono con una pensione da 700 euro, uno stipendio da mille euro e 250 euro mensili garantiti alla figlia. «Lo ha stabilito il tribunale» dice Virginia. Il «pacchetto scuola», che dovrebbe contemplare una soluzione per un numero imprecisato di docenti «quota 96» che oscilla tra i 3500 e i 9 mila e un’altra per oltre 3 mila docenti «inidonei», è stato scorporato dal decreto D’Alia sulla pubblica amministrazione.

Ogni decisione è stata rimandata a lunedì, in attesa che la maggioranza si metta d’accordo sul destino dei 150 mila precari pubblici il cui contratto scade a dicembre. «Concorsi riservati» oppure «sanatoria»? Questo è il dibattito che divide i liberisti alla Brunetta (o i meritocratici alla Elsa Fornero che ieri si è fatta sentire da Courmayeur) e il ministro D’Alia che preme per una «stabilizzazione» per circa 50-60 mila persone. Quasi inconsapevolmente, nella sonnolenza agostana, con quell’andamento zoppicante che contraddistingue una crisi estenuante, il governo Letta è stato di nuovo congelato. Si è limitato ad assumere 672 dirigenti scolastici e a immettere in ruolo 11.268 tra docenti e personale Ata.

Virginia ha capito di essere rimasta sola. Lei rientra nella condizione del personale «idoneo ad altri compiti». Se il governo non troverà una soluzione al taglio di 314 milioni di euro in tre anni stabilito dalla spending review di Monti sarà costretta ad abbandonare un lavoro che svolge con cura e passione: quello dell’assistente amministrativa in una segreteria didattica. Questo taglio obbligherà gli insegnanti malati inidonei o i precari Ata a occupare il suo posto. E lei rischia di essere licenziata. «Cosa posso fare a Napoli senza un lavoro? – mi chiede – Io porto avanti la didattica – rivendica con orgoglio – mi occupo della mensa, preparo le camicie per gli esami, ricostruisco le carriere previdenziali e faccio le buste paga. Queste cose le ho imparate pagandomi i corsi di aggiornamento. I docenti non sanno fare queste cose».

La disperazione l’ha sopraffatta. Tutto è accaduto in un istante. Ha estratto dalla borsa una bottiglia di spirito, ha cosparso di alcool i vestiti, da una tasca ha preso un accendino. E ha cercato di darsi fuoco. Ma è stata bloccata. Virginia è stata abbattuta dal sole e dall’afa. I suoi colleghi l’hanno soccorsa. Urla. Panico. È arrivata un’ambulanza. «È stato un attimo – racconta Anna Grazia Stammati, dell’esecutivo nazionale Cobas, nella concitazione – nessuno di noi era a conoscenza del suo intento suicida». Non lo era nemmeno Virginia, evidentemente.Lentamente ha ripreso coscienza. Ha bevuto e si è rimessa in piedi. Ha ripreso a parlare. I suoi colleghi amorevolmente l’hanno circondata con mille attenzioni. Sorpresi per la sua determinazione.

«Lo so, ho fatto un gesto estremo – dice e si racconta al telefono sulla strada di casa – perché a noi ci trattano come le ultime persone sulla faccia della terra, e non ci fanno sapere niente». Alza la voce, tutti l’ascoltano con timore: «Noi siamo il cuore pulsante della scuola – urla – Io la prossima volta mi brucio di nuovo».