Tra cinque giorni, senza interventi a sorpresa dell’ultimo minuto, il blocco dei licenziamenti in vigore da poco meno di 500 giorni non ci sarà più. Secondo i sindacati l’ondata potrebbe travolgere circa 700mila posti di lavoro e per questo manifesteranno oggi a Torino, Firenze e Bari. Il conto dei licenziati sarà certamente più basso perché il governo comunque interverrà, ma non con la proroga del blocco sino a fine ottobre richiesta dalle confederazioni e da una parte della maggioranza. Ci sarà invece, come previsto e quasi già annunciato da almeno una settimana, la proroga selettiva: il blocco resterà in vigore per il tessile, l’abbigliamento, i calzaturifici, la pelletteria, l’occhialeria e quasi certamente il turismo. Qualcos’altro potrebbe aggiungersi ma il grosso del decreto è questo. Limiterà un po’ il danno. Non lo eviterà.

Il cdm è convocato per lunedì prossimo proprio per evitare o arginare gli effetti delle due scadenze al momento previste per il 30 giugno: quella dei licenziamenti e quella dell’invio delle cartelle fiscali. La riscossione dovrebbe ripartire dal primo luglio e i versamenti, di conseguenza, dovrebbero iniziare un mese dopo. Tutto verrà invece rinviato di due mesi, con ripartenza delle attività di riscossione a fine agosto e l’ipotesi ancora tutta da verificare di un decreto ponte. I licenziamenti invece riprenderanno ovunque tranne che nelle categorie per le quali verrà prorogato il blocco e per le aziende che hanno chiesto la cassa integrazione in deroga, dove resterà valido fino al 31 ottobre. Del pacchetto farà parte anche il rifinanziamento della legge Sabatini, con gli incentivi per le Pmi che rinnovano impianti e attrezzature. Nel complesso la copertura dell’intero decreto, che confluirà poi nel dl Sostegni bis, dovrebbe essere di 3 mld.

Ai sindacati non basta. Landini alza i toni di parecchi decibel: «Non voglio neppure prendere in considerazione la possibilità che il governo non ci ascolti e non ci convochi. Ma se non ci ascolta non staremo con la mani in mano a vedere lavoratori licenziati. I tempi per la proroga del blocco ci sono». Il segretario della Uil Bombardieri è altrettanto bellicoso: «Gli inventivi sono stati dati indistintamente a tutte le aziende. Ora è corretto trattare allo stesso modo tutti i lavoratori. Con la proroga selettiva, senza il blocco per tutti sino a fine ottobre il rischio di crisi sociale c’è». Nessuno, per il momento, parla apertamente della possibilità che terremoterebbe il governo più di qualsiasi altra cosa: lo sciopero generale. Se mai ci si dovesse arrivare, il Pd di Enrico Letta probabilmente non sarebbe in grado di reggerlo.

La tesi del governo, sostenuta anche dal Nazareno, è che non avrebbe senso prorogare il blocco anche per quei settori in cui la ripresa è già in corso, come l’edilizia. La replica dei sindacati è che c’è bisogno di tempo per varare la riforma degli ammortizzatori sociali, in modo da «trovare una strada alternativa ai licenziamenti». Ragionamenti comprensibili l’uno e l’altro ma sta di fatto che a perdere il lavoro sono già state circa 900mila persone e che quella cifra già esorbitante aumenterà di parecchio senza un ripensamento in extremis sulla proroga per tutti. Sta anche di fatto che il grosso degli aiuti, nei mesi scorsi, è andato alle aziende e in quel caso, come ricorda ancora Bombardieri, senza selettività: «Sono stati dati a tutte le aziende. Da quelle che hanno sede sociale all’estero a quelle che non manterranno i livelli occupazionali».

Una parte della maggioranza fa blocco con i sindacati. I senatori 5S della commissione Lavoro del Senato non nascondono «dubbi e perplessità», si dicono «molto preoccupati per lo scenario che potrebbe configurarsi». Per LeU la capogruppo al Senato De Petris avverte che «il tempo sta per scadere: bisogna impedire che la slavina dei licenziamenti parta e sta al governo farlo». Per il Pd, però, la proroga non è necessaria. «Si stanno aprendo spiragli per una possibile soluzione», assicura il responsabile dell’Economia Misiani. Forse è ottimismo. Forse scaramanzia. Perché a dire che «senza garanzie per i lavoratori esiste certamente un rischio sociale» è la stessa ministra degli Interni Lamorgese.