Quelli che mostrarono i fratelli Kouachi uscire armati di tutto punto dopo il massacro in redazione, e finire freddamente un poliziotto. Questa volta non ci sono più armi da guerra: l’assalto arriva a colpi di machete da parte di un diciottenne davanti alla targa che omaggia Charlie, ci vanno di mezzo due impiegati della stessa agenzia in pausa sigaretta.

L’episodio però ripropone e amplifica l’importanza simbolica dell’indigesta vicenda Charlie, sulla quale l’opinione pubblica occidentale – progressista e reazionaria – glisserebbe volentieri, derubricandola a un problema di eccessi. In questi giorni a Parigi 14 persone si trovano sotto processo per complicità con i jihadisti che allora diedero il via ad un’ondata di attacchi senza precedenti in Europa.

Il processo ha catalizzato tensioni che attraversano la sfera pubblica francese ed europea, toccando i capisaldi della libertà di espressione e della convivenza civica. Un paio di giorni fa un centinaio di media francesi hanno sottoscritto un inedito appello alla libertà nel mondo della comunicazione, che cita il tributo di sangue di Charlie e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, ricordando che in Francia non esiste il reato di blasfemia.

All’apertura del processo, mettendo in imbarazzo il premier Macron – convinto assertore della laicità e nemico dichiarato dell’islamismo politico – Charlie ha ripubblicato in copertina le famose vignette, offrendole come pubblica prova (tout ça pour ça). Prevedibilmente sono arrivate le minacce, tanto che la responsabile delle risorse umane del settimanale è stata costretta dall’antiterrorismo a spostare il proprio domicilio nel giro di 10 minuti.

Al Qaida nella Penisola Islamica, per parte sua, è tornata a farsi viva sulla vicenda, lanciando minacce esplicite che trovano riverbero nel diffuso sentimento di esecrazione che la pubblicazione ancora suscita nel mondo islamico a diverse latitudini.
Con l’attacco di ieri, dal 2015 la Francia ha vissuto 18 episodi classificati come atti di terrorismo, di cui tre nell’anno in corso. Questi ultimi non sono stati rivendicati dalle centrali jihadiste, e sono stati perpetrati da individui isolati caratterizzati da problemi psichiatrici.

Tuttavia, circa 8.000 individui sono considerati potenzialmente pericolosi e rimangono strettamente attenzionati, senza dimenticare che la Francia ha avuto un significativo numero di rientri di jihadisti francesi dai fronti di guerra mediorientali: per quanto l’opinione pubblica sia stata assorbita da altre paure legate al propagarsi della pandemia, il rischio di attentati non ha mai cessato di essere considerato significativo.

Non sappiamo se l’attentatore mirasse a entrare nello stabile, o se mirasse semplicemente a suscitare clamore con una vendetta esemplare. Non sappiamo perché un obiettivo simbolicamente così sensibile in questo momento si trovasse senza effettiva protezione.

È plausibile che anche in questo caso, come per parecchi casi recenti, non verranno stabiliti collegamenti chiari e diretti fra l’attentatore e le centrali jihadiste attivamente impegnate ad esportare gli attacchi nel cuore d’Europa. Queste ultime appaiono significativamente indebolite dalle sconfitte militari in quello che era stato il territorio del sedicente Califfato, anche se diverse indicazioni suggeriscono che i mezzi materiali e le circostanze politiche che consentono una riorganizzazione siano tutt’altro che assenti.

Di certo c’è che la Francia è fortemente esposta, tanto nelle crescenti tensioni mediterranee con l’alleato atlantico Turchia, quanto negli scenari di guerra saheliani, dove ad essere nel mirino – senza che peraltro i risultati lascino intravedere svolte significative – sono soprattutto le brigate affiliate a Daesh, ma dove anche al Qaida soffia sul sentimento antifrancese.

Tanto nel Levante quanto nel Sahel le formazioni qaidiste sono impegnate a distinguersi – spesso affrontando i miliziani di Daesh militarmente – sulla base di un’agenda gradualista che punta al negoziato politico e non chiama ad attacchi in Occidente: e tuttavia la presenza dei« crociati» resta un obiettivo militare, e anche se ad oggi non c’è prova di attentati orditi a partire dalle regioni a sud del Sahara, l’esacerbarsi delle tensioni rispetto all’islamismo allineato sull’asse Turchia-Qatar è a sua volta suscettibile di esiti imprevedibili.

Oltre al processo Charlie che si interrompe, con redattori che lasciano il tribunale sotto scorta di polizia, l’attacco di ieri riporta in una Parigi in piena allerta Covid le sirene, le pattuglie di pronto intervento, gli studenti barricati a scuola. Pur senza un filo di comando, la propaganda armata non è cessata, e la sua eco – con possibili inneschi emulativi – si propaga a diverse latitudini, vicine e lontane.