Sia in positivo che in negativo, a seconda della sua collocazione rispetto al governo, per il quale “L’Italia sta vivendo una vera e propria fase di boom economico. Bisogna rivedere le stime verso il 6%.” Il tutto basato sulle cifre fornite dal Bollettino economico di Bankitalia del 16 luglio relative all’ultimo trimestre. L’Istat era stata più prudente, stimando possibile una crescita del 4,8% per l’anno in corso. Mentre il rapporto dell’Ufficio parlamentare per il bilancio (Upb) considera anch’esso il 6% un obiettivo raggiungibile.

Tutto bene quindi? Non proprio. L’effetto rimbalzo indubbiamente c’è ed è sensibile, ma dobbiamo ricordare che siamo ancora al di sotto dei livelli prepandemici (-3,8%), e già non ce la passavamo bene. Eurostat vede una crescita nel secondo trimestre sia per l’Eurozona che per la Ue, con la Germania in difficoltà, ma sottolinea che – a differenza di Usa e Cina – nel nostro continente il Pil è ancora del 3,4% inferiore a quello della fine del 2019. Con l’aggravarsi delle differenze interne ai singoli paesi.

Per l’Italia la Svimez calcola che nel biennio 2021/2022 il contributo del Pnrr alla ripartenza del Mezzogiorno non sarà sufficiente ad accorciare le distanze con il resto del paese. Si è detto che al Sud andranno il 40% delle risorse previste dal Pnrr. Il Piano finanzia con 182 miliardi nuovi progetti e con 53 miliardi vecchi progetti, ma, secondo la Svimez “non è nota la ripartizione territoriale delle due voci”, quindi non è affatto improbabile un ulteriore ridimensionamento della quota di risorse spendibili per il Mezzogiorno.

Sul lavoro Draghi non poteva evitare la tragica statistica dell’incidentistica mortale. Nei primi sei mesi del 2021 sono 538 le vittime del lavoro, un tetro record. Ma non ha detto come intende provi rimedio. Eppure è un compito che lo Stato non può lasciare al delegato sindacale sulla sicurezza, quando c’è.

L’ultimo Rapporto annuale 2019 sul tema rende noto che il personale ispettivo assomma a 2.561 unità. Ma gli ispettori a tempo pieno che visitano i luoghi di lavoro non sono più di 1.550, tra i quali solo 222 posseggono una specializzazione nel campo della salute e della sicurezza. Che fine ha fatto il concorso bandito nel 2019 per 619 ispettori del lavoro e per 131 funzionari? Nessuno glielo ha chiesto.

Lo stesso report dell’Upb – ne hanno scritto su queste pagine Calistri e Romano – ci parla di un alto grado di sottoutilizzo del fattore lavoro, pari a circa un quarto dei disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro. Ovvero la disoccupazione reale nel nostro paese è ben più del doppio di quella ufficiale, un dato intermedio tra il 20 e il 25%.

Ma anche se stiamo ai criteri di calcolo ufficiali il quadro è assai fosco. In primo luogo tutti i dati si riferiscono a prima dello sblocco dei licenziamenti, i cui guasti sono sotto gli occhi di tutti e siamo appena all’inizio. In secondo luogo perché, mentre diminuiscono i lavoratori autonomi, cresce la schiera di quelli precari. Infine si tratterà di valutare se l’aumento degli occupati recentemente registrato sia frutto di rientri di lavoratori messi in Cig (che oltre i tre mesi uscivano dalla qualifica di occupati) oppure sia determinato da nuove assunzioni.

Un rimbalzo a suon di precarietà quindi, o peggio ancora una ripresa jobless. La ragione sta nel freno all’intervento pubblico, nella sua scarsa qualità, nell’assenza di un vero progetto trasformativo. Serve molto maquillage e qualche reprimenda.

Qualche giorno fa l’editoriale del Sole 24 Ore ammoniva: “Mettere in difficoltà Draghi sarebbe un peccato mortale, sarebbe soffocare nella culla la nascente ripresa economica il debito pubblico è di poco al di sotto del 160% del Pil. Un livello che, senza Draghi presidente del Consiglio, è insostenibile”. Ovvero il governo degli intoccabili, e il cerchio si chiude.