«Il Pd e il governo italiano sono orgogliosi dell’ingresso nel Pse. A breve presiederemo il semestre europeo e lo vogliamo fare non solo adempiendo ad obblighi, ma per discutere un nuovo modello. Viviamo un momento terribile di spread non economico ma per la vita dei cittadini. Dobbiamo fare in modo che il piccolo artigiano non veda l’Europa come il problema ma come la soluzione, come Europa dei cittadini non dei burocrati».

Per l’esordio davanti ai leader dei partiti fratelli d’Europa stavolta il presidente del consiglio Renzi si è preparato: pochi effetti speciali, qualche suggestione kennediana (i discorsi di JFK sono stati la sua lettura politica di formazione, nella versione con la prefazione di Walter Veltroni): «Per noi l’Europa è la nostra Luna, non è nello spazio, ma fare un’Europa non delle regole burocratiche, ma un luogo con un anima». L’Italia, spiega, farà da brava: «Deve innanzitutto adempiere i propri obblighi. Ma dobbiamo mettere a posto il nostro bilancio perché ce lo chiedono i nostri figli». Le priorità del suo governo sono «riforme strutturali di lavoro, giustizia, e pubblica amministrazione, legge elettorale, riforme costituzionali»; e «una gigantesca scommessa educativa che parta da investimenti in edilizia scolastica, innovazione e insegnanti che vengano considerati costruttori di istruzione». Renzi ringrazia Pierluigi Bersani, che dalla platea raccoglie un lungo applauso, e per la prima volta anche Massimo D’Alema. Del resto l’ex ministro degli esteri è il vero padrone di casa del congresso Pse, ed è il prestigioso – e citatissimo – presidente della Fondazione Europa di Studi Progressisti. Rottamato, ma imprescindibile nella casa socialista. Renzi potrà non chiedergli di correre il 25 maggio?

Non che il leader europei siano freddi. Per tutti gli interventi lui è «Matteo». E il suo programma è già «di riforme coraggiose», così lo definisce Martin Schulz. In una scenografia d’altri tempi, il partito socialista europeo, che per l’ingresso del Pd ha ampliato il nome in «Socialisti e democratici», chiude il congresso a Roma con la votazione di Schulz alla corsa per la presidenza della commissione. Ma congresso vero non è, piuttosto un’eurokermesse per lanciare il candidato, noto agli italiani per un combattivo botta e risposta contro Berlusconi nel 2003. E per aprire la campagna più difficile, quella in cui i partiti socialisti e i popolari, divisi nella circostanza elettorale, tentano di costruire un argine alla slavina antieuro e «populista».

Ma i socialisti hanno le armi spuntate. La parola d’ordine «contro l’austerità imposta dai conservatori» si infrange contro l’evidenza dei dieci governi di «grande coalizione» – in Italia si chiamano intese, strette o larghe – del continente, metà con la guida a destra, metà a sinistra. Schulz in Germania rappresenta l’ala sinistra, ma di un’Spd che governa con Angela Merkel, donna-simbolo del rigore. Questo comporta qualche imbarazzo: «Ho il dovere di dimostrare che l’idea che sia necessario ridurre la spesa pubblica e ridurre i debiti sovrani per riconquistare la fiducia degli investitori e tornare alla crescita non viene solo dal governo tedesco – il precedente governo tedesco», chiosa Schulz, sorvolando sul fatto che la cancelliera era sempre la stessa, «ma anche da Finlandia, Olanda, Austria, ed altri. Questo è stato fatto per cinque anni, ma la realtà è che non funziona. Quindi, non si tratta della Germania. È una lotta tra due scuole di pensiero, una secondo cui i tagli ripristinano la fiducia e l’altra, alla quale io appartengo, secondo cui abbiamo bisogno sia di investimenti strategici, in particolare per la crescita e l’occupazione, sia di gestione del debito».

Ma appunto, fra il dire e il fare, ci sono in mezzo le grandi coalizioni. E il manifesto dei socialisti rischia di ridursi a un decalogo di buone intenzioni: lavoro, «nuova politica industriale», fine del dumping sociale, un «decente salario minimo»; rilancio dell’economia e «una politica di reindustrializzazione», «maggior spazio di manovra per gli investimenti nei bilanci nazionali», coordinamento delle politiche fiscali; nuove regole per il settore bancario, tassa sulle transazioni finanziarie; diritti e per le donna, lotta a razzismo, sessismo e omofobia. Basta vedere come sin qui il Pd abbia declinato queste scelte al governo nazionale, ovvero come non le abbia declinate, per avere un legittimo sospetto.

Lo dice anche Nichi Vendola, in platea con la delegazione di Sel, che chiede di aderire al Pse ma a maggio appoggerà Alexis Tsipras, leader della sinistra radicale greca: «Sono qui in segno di amicizia per Schulz e come convinto sostenitore della lista Tsipras, con la speranza che le sinistre aiutino l’Europa a uscire dall’incubo austerity e a superare la terribile tenaglia rappresentata in tutta l’Ue dai governi delle larghe intese». E’ il difetto di fabbrica di questo non congresso. Le socialdemocrazie vogliono superare l’austerità imponendola; e le larghe intese praticandole.