Il festival sta finendo, domani verranno annunciati i premi di questa 75a edizione speciale anche per il budget – aumentato secondo quanto si legge sul sito di Rsi News a 17,5 milioni di franchi di cui il 45% arriva da fondi pubblici – a sottolineare oltre alla festa per un anniversario importante il desiderio di rilanciare la manifestazione dopo gli anni di pandemia. Tra colpi di fulmine mancati appaiono improvvise epifanie, a cominciare dalla retrospettiva di Douglas Sirk – un consiglio: vista l’importanza della manifestazione perché non sottotitolare le copie senza costringere il pubblico a sforzi che ne demotivano l’entusiasmo? – che ieri ci ha regalato un magnifico ritratto del regista col film di Daniel Schmid Mirage de la vie: Portrait de Douglas Sirk (1983), un film «pirata» lo ha definito Renato Berta (sua la fotografia) venuto a presentarlo, perché tutto era stato improvvisato mentre giravano Il bacio di Tosca (1984).

SCHMID aveva chiamato Sirk e gli aveva chiesto di poter andare da lui, a Ruvigliano, in Svizzera dove viveva insieme alla moglie. La conversazione tra loro è intensa, entra nel cinema di Sirk e vi mescola riflessioni sulla vita, sull’arte, sull’umano. Dall’happy end – cosa è, come definirlo, se è davvero solo felicità – alla parola morale e all’immoralità – «i personaggi che prediligo». E l’America, come l’aveva conosciuta ancora prima di viverci nell’immaginario della sua letteratura, il suo lavoro con gli attori, la scrittura, la messinscena. Hilde Jary, sua moglie – si erano sposati nel 1929 dopo il divorzio di Sirk da Lydia Brincken – gli sta accanto, colma i suoi piccoli vuoti di memoria, mostra una foto in cui sorride – «lui che non sorrideva mai». Ricordano il periodo nella fattoria di San Fernando Valley con uova e galline dopo la fuga dall’Europa nazista nel 1939, ma anche la fatica di quella situazione, i nuovi inizi nel Paese che li ha accolti. Sirk indossa spesso occhiali scuri nel corso della conversazione per problemi di vista, morirà quattro anni dopo, e questo scambio prezioso – sono tra l’altro le ultime immagini che abbiamo di lui – si fa rivelazione del suo universo in uno sguardo di cinema commovente e spesso inaspettato, nella quale si modulano infiniti passaggi di emozione.La retrospettiva su Douglas Sirk ha regalato un ritratto realizzato durante «Il bacio di Tosca»

UN INCONTRO tra registi è anche il punto di partenza di Onde Fica Esta Rua? Ou Sem Antes Nem Depois di Joao Pedro Rodrigues e Joao Rui Guerra da Mata, fuori concorso, ancora un’altra epifania in un gesto di cinema che sorprende ogni fotogramma. All’origine di questo film, girato in 16 millimetri, c’è appunto un altro film, I verdi anni (1963) l’esordio di Paulo Rocha che diviene uno dei riferimenti per la Nuova onda del cinema portoghese; l’incontro tra Julio e Ilda nella Lisbona degli anni Sessanta in cui si frantumano i sogni e le speranze di una felicità. Dalla finestra del loro appartamento i due registi vedono il set di quel film – e Joao Pedro Rodrigues è stato allievo di Rocha, un incontro «decisivo» e un’amicizia importante, dopo la sua morte Rodrigues gli rende omaggio con il corto Allegoria della prudenza realizzato per i 70 anni della Mostra di Venezia, e il suo primo film, O Fantasma si muove negli stessi luoghi di Rocha a dichiarare questa profonda vicinanza. Però Dove sta la strada? – la prima frase pronunciata dal protagonista dei Verdi anni, Julio, appena arrivato a Lisbona, che nelle intenzioni di Rodrigues e Rui Guerra da Mata diviene anche un omaggio al Kiarostami di Dov’è la casa del mio amico? (1987), non è però un film-sul-film di Rocha malgrado la presenza di Isabel Ruth (sublime) che ne era la protagonista, e che qui scivola nelle sovrimpressioni oltre il tempo della pellicola e della sua voce che riaccorda le stesse canzoni. È certo un gesto amoroso, girato in 16 millimetri, nel quale gli attraversamenti di Lisbona sulle tracce di quel film disegnano una geografia dell’immaginario e del presente, fisica e emozionale, disseminata nelle trasformazioni con gli anni del paesaggio che mutano anche il sentimento e il senso della città e di chi la abita.«Onde Fica Esta Rua?» è legato all’esordio di Paulo Rocha, «I verdi anni»

IL PRESENTE dunque che irrompe e si moltiplica in quella città che appare all’improvviso ancora una volta sconosciuta, resa deserta dalla pandemia che è entrata nel film: cosa è quel nuovo respiro di silenzi e incontri a distanza, di luoghi chiusi e deserti, dei volti mascherati? Le immagini oscillano, si inseguono, si immergono in questa immobilità strana, mai provata, nella quale il tempo ancora una volta sembra seguire altre regole, altri ondeggiamenti. La città si rivela, stupisce con un blu del cielo e del mare, nelle poche figure che l’attraversano, e poi nel suo riprendere piano piano la sua fisionomia. Ma quale? Gli autori giocano, mischiano suggestioni, melò e slapstick, la musica è la loro guida, un personaggio che permea le immagini, diviene memoria e scoperta di un orizzonte ignoto. Una figura coi capelli punk lo riempie per un istante, una coppia di ragazzi si bacia, due fumano una sigaretta, i due registi si affacciano alla finestra scrutando tra le loro possibili storie. Che hanno la forma del cinema, dei gesti, di emozioni impalpabili, raccontarle è una «magnifica ossessione».