In sé l’emendamento M5S è tutt’altro che scandaloso: dirottare fondi dall’aeronautica alla bonifica di alcune aree. Diventa clamoroso perché a votarlo, nella commissione Bilancio della Camera, c’è Forza Italia. E’ la prima volta, non sarà l’ultima.
«Nessun asse con Grillo», assicura a botta calda Rocco Palese, deputato azzurro. Non è del tutto vero ma nemmeno del tutto finto. Quella del fronte comune con M5S non è una strategia perché Berlusconi una strategia in mente non ce l’ha. Naviga a vista. Però i venti lo spingono inevitabilmente in quella direzione.
Lo «scandaloso» voto non è l’unico punto di contatto tra i due acerrimi nemici. C’è il fuoco incrociato su Napolitano, proseguito anche ieri. Beppe carica: «Comportamenti sempre più abnormi e inquietanti. Si dimetta». La nota quotidiana di Forza Italia non è da meno: «I1 triumvirato Napolitano-Letta-Renzi è illegittimo, incostituzionale, quasi sudamericano». E c’è, infine, l’appoggio ai «Forconi», vero battesimo del fuoco della nuova Forza Italia, per la prima volta compiutamente anti-sistema.
Non è una strategia l’incontro tra il cabarettista e il comico. E’ un dato di fatto imposto a Berlusconi da molte circostanze, prima fra tutte la delusione rappresentata da Matto Renzi. Fi aveva scommesso su una caduta a breve del governo provocata proprio dal focoso nuovo capo del Pd: speranza almeno in parte raffreddatasi nel giro di tre giorni. Renzi non vuole far cadere il governo. Ai suoi ha detto chiaro che per correre, vincere e governare conviene aspettare che ci sia qualche tangibile segnale di ripresa. Quando assicura a Napolitano di non voler sgambettare Letta dice sul serio.
Però non scherza neppure quando afferma, sempre rivolto al presidente, che il governo deve muoversi (col sottinteso che deve farlo in direzione non sgradita all’elettorato del Pd). Altrimenti a farne le spese sarebbe proprio lui, Renzi Matteo. Se il trionfatore delle primarie vuole a tutti i costi la legge elettorale prestissimo, non è per andare di corsa al voto, come sperava Berlusconi, ma per poterci andare non appena si rendesse necessario. In concreto per costringere i centristi, in particolare quelli che fanno capo ad Angelino Alfano, a obbedire tacendo. «Il tradimento – si diverte Minzolini – è stato pagato. Ma con monete bucate o fuori corso». Ma nella navigazione a vista, anche questo è uno spiraglio per Berlusconi.
Nel nuovo panorama politico, terremotato dalla sentenza della Consulta e dall’elezione di Matteo il Giovane, Alfano è la vittima sacrificale. Fino a pochi giorni fa occupava una postazione centralissima nel quadro politico. E’ scivolato di colpo ai margini. Ancor più periferico e superfluo diventerà quando Renzi disporrà di una legge elettorale maggioritaria e potrà chiamare a piacimento le elezioni.
Si spiega così il panico che corre tra le file di tutti i centristi ma tra quelli di Ncd più che tra gli altri. Ed ecco quindi che, se da un lato Fi accerchia con Grillo il governo nella speranza di rendere la situazione insostenibile per Renzi, dall’altro rigira il coltello nella piaga ricordando ogni secondo ai transfughi di Angelino che sono finiti proprio dove dicevano di non voler andare: in un governo targato Pd, incubatrice di una nuova maggioranza di sinistra. Ma in fondo, ammette persino qualche falco, «se Angelino portasse la testa di Letta, potrebbe ancora essere perdonato».