Anche quest’anno i freelance e le partite Iva non saranno i bancomat dello Stato. Ma nel 2016 il tentativo di estorcergli risorse con le leve del fisco e della previdenza ricomincerà come e più di prima. A meno che il governo non decida di intervenire con un provvedimento organico e razionale a tutela dei diritti fondamentali di un segmento importante del quinto stato: il lavoro autonomo ordinistico e non ordinistico. Dopo quattro mesi di battaglia contro il governo Renzi, condotta con appelli e campagne su twitter a suon di hashtag, alle cinque del mattino dell’altro ieri le associazioni dei lavoratori indipendenti Acta, Alta Partecipazione e Confassociazioni hanno ottenuto un primo successo politico. Oltre ad una rateazione per le cartelle Equitalia e a una discussa «mini-proroga» sugli sfratti, le commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera hanno recepito l’emendamento che blocca per il 2015 l’aumento dal 27,72% al 30,72% dell’aliquota contributiva per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell’Inps.

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La storia di una protesta: Perché il governo 2.0 di renzi vuole eliminare i freelance

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Un altro emendamento ha rimediato all’incredibile pasticcio sulla riforma del regime fiscale agevolato per le partite Iva sotto i 35 anni. Dal primo gennaio chi aprirà una posizione fiscale, percependo guadagni inferiori ai 30 mila euro, potrà scegliere se optare per il nuovo regime dei minimi oppure per il vecchio. Quest’ultimo prevede l’aliquota Irpef al 5% per gli under 35 o nei primi cinque anni di attività, sotto 30mila euro di fatturato. Il nuovo regime, invece, è di natura forfettaria con un’unica imposta sostitutiva al 15% e soglie che variano da 15 mila euro per il lavoro della conoscenza a 40 mila euro per il commercio o l’artigianato. La sua introduzione aveva scatenato una protesta inedita tra freelance e partite Iva visto che triplicava le tasse a chi percepisce redditi medi da 545 euro netti al mese.

I provvedimenti saranno esecutivi dopo l’approvazione del Milleproroghe in parlamento. Ieri il governo ha messo la fiducia alla Camera. C’è tempo fino al 3 marzo. Questi i costi per rimediare agli errori compiuti dall’esecutivo: l’emendamento che proroga solo per il 2015 il vecchio regime dei minimi costerà 252,2 milioni di euro per i prossimi cinque anni. Le risorse verranno prese dal fondo per gli interventi strutturali di politica economica. La coesistenza di questi regimi è la soluzione di fortuna trovata dal governo (su impulso di Scelta Civica) per rimediare a quello che Renzi ha definito il suo «clamoroso autogol». Senza un intervento razionale, nel 2016 il caos è assicurato. Come le proteste che hanno messo seriamente all’angolo Renzi e la sua maggioranza.

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Fare politica con gli hashtag su twitter: Renzi, quanto vale la parola di lupetto per le partite Iva

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Per riportare, invece, la contribuzione Inps degli autonomi al 27,72% è previsto uno stanziamento complessivo di 120 milioni di euro. L’aliquota fatale tornerà però a crescere nel 2016 al 28,72% e al 29,72% nel 2019. E saranno necessari altri fondi. Questo valzer sulle percentuali si ripete da tre anni. Per rimediare all’ingiustizia concepita dal duo Monti-Fornero i governi italiani hanno dovuto sborsare all’incirca 400 milioni di euro. Senza un chiaro intervento di riforma per il welfare e la previdenza degli autonomi, queste spese continueranno a crescere nei prossimi anni.

La vittoria della coalizione tra freelance e partite Iva assume un significato ulteriore se si considerano le ristrettezze di bilancio che hanno costretto le forze di maggioranza ad un’impresa che sembrava impossibile. A pesare sono stati i «mea culpa» reiterati pronunciati da Renzi già all’indomani dell’approvazione della legge di stabilità avvenuta il 23 dicembre scorso. Sembra che abbiano avuto un certo peso anche davanti alle resistenze del ministero delle finanze a rimediare ai suoi errori. Ciò che però conta è il fatto politico: sono stati i freelance a creare un problema al governo. Non le ben più numerose proteste contro il Jobs Act o gli altri discutibili provvedimenti adottati nell’ultimo anno.

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Lo storify della protesta: Quando l’arbitro Renzi fa autogol i freelance si rivoltano

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A leggere ieri le reazioni delle forze politiche in parlamento, sembra che tutti abbiano vinto: dal Pd (con Cesare Damiano a Chiara Gribaudo) all’Ncd, dai Cinque Stelle a Sel).

Non è così: il merito è della coalizione promossa dalle associazioni che da oggi intendono proseguire il percorso. Si parla di riformare la previdenza, di equo compenso, di tutele per la malattia, di un nuovo welfare per chi svolge un lavoro non dipendente in Italia. Angelo Deiana presidente di Confassociazioni, sottolinea che le regole per le partite Iva sono «corrette solo parzialmente», mentre Andrea Dili (Alta Partecipazione) allarga sensibilmente il perimetro delle considerazioni politiche: «Il mercato del lavoro è profondamente mutato negli ultimi anni – sostiene – Nell’arco della vita un autonomo svolge più lavori. Dobbiamo garantire a tutti parità di diritti indipendentemente dalla forma in cui si svolge la prestazione lavorativa».

Anna Soru (Acta) ragiona sulla politica delle coalizioni: «Il nostro obiettivo è lavorare su terreni comuni non solo con i freelance, ma anche con le professioni ordinistiche, e in particolare con i giovani che sono molto attenti ai diritti. Siamo stati i primi a porre questi problemi 10 anni fa e sembrava che chiedessimo la luna. Con la diffusione del lavoro freelance, oggi è cambiata un’intera cultura». Un altro segno del cambiamento in corso è la proposta di un «manifesto del lavoro intellettuale» avanzata ieri da Confprofessioni, una delle più grandi associazioni del lavoro autonomo. Per scriverlo ha rivolto un appello alla solidarietà intercategoriale. Per la prima volta nel mondo delle professioni in Italia si parla di riforme fiscali, del welfare e delle casse previdenziali. Oggi a Roma dalle 10,30 è previsto un presidio di Acta e un nuovo «tweet bombing». La protesta continua.