Mario Martone, in un periodo di grande creatività quasi a voler esorcizzare il lockdown, ha presentato un suo nuovo spettacolo, prodotto dal Mercadante di Napoli (ancora oggi e domani all’India di Roma, la prossima settimana al Franco Parenti a Milano). Spettacolo strutturalmente importante, perché il regista si misura con un bruciante testo contemporaneo e quasi «reinventa» una inedita ottica teatrale che vive di una doppia scena, essenziale quanto complessa, le cui parti si muovono in maniera autonoma e sfalsata (opera di Carmine Guarino). Scenografie coordinate, quasi speculari, che non ambientano ma parlano e perfino giudicano, con quelle visioni «strabiche» che sono lo studio dello psicanalista, e lo spazio ove matura la propria consapevolezza la protagonista tormentata e lucidissima, Goliarda Sapienza, io narrante del testo di cui è autrice.

CON IL TITOLO Il filo di mezzogiorno l’artista aveva pubblicato nel 1969 (da Garzanti, ora riproposto da La nave di Teseo) questa sorta di diario, che sgrana racconti, e provocazioni e reazioni, frutto del rapporto con il terapeuta (Ignazio Majore, uno dei padri della psicanalisi italiana, che nella memoria firmava anche una rubrica su «Paese sera»). Il libro ha avuto svariate edizioni, anche se solo in anni recenti, dopo la sua morte, è stata a lei riconosciuta nel nostro paese la dignità intellettuale che certo merita. Se mezzogiorno indica l’orario fisso e quotidiano dell’incontro con lo psicanalista, il filo è quello dei ricordi e delle esperienze, che lei rivela e nomina con assoluta naturalezza. C’è tutta la sua storia, dall’infanzia a Catania, ai genitori intellettuali, al sogno del teatro inseguito con i suoi problemi di pronuncia fino all’Accademia d’arte drammatica diretta da Silvio D’Amico. Felicità e depressione, che in un momento di punta spinge il suo neurologo a infliggerle degli elettroshock. A quel punto il suo compagno Citto, spesso evocato (il regista Maselli) la strappa alla psichiatria e la spinge a intraprendere un percorso di analisi.

IL RACCONTO di Goliarda è assai netto, apparentemente bulimico, in realtà accurato e profondo. Vi appaiono con i loro nomi le persone che la circondavano, che l’hanno incoraggiata e anche rassicurata e possibilmente protetta, anche se lei non rinuncia ad affrontare spietatamente tutti i problemi che mente e cuore le pongono. Commuove perfino sentirla citare spesso, assieme alla sorella Nica le due amiche del cuore Titina e Marilù, evidentemente le due meravigliose artiste visive Maselli e Eustachio. C’è tanta Roma nel suo racconto, e insieme tanta solitudine, che lei affronta con forza disperata. Tanto da ribaltare nel rapporto con il suo analista, quello che è l’abituale transfert del paziente. Scoprendo nell’uomo di scienza la debolezza maggiore, che lo spingerà a interrompere di netto la terapia.
Il testo si arresta ovviamente all’anno della pubblicazione, ma chi l’ha vista calcare ancora le scene negli anni ’80 non può non ricordare la sua energia, il piacere del gioco scenico, la sagacia nel rapportarsi agli altri, a cominciare dagli spettatori: in un’opera fino ad allora inedita di Marguerite Yourcenar, Dialogo nella palude, lei assolveva al ruolo di una sorta di coro rispetto alla protagonista Pia de’Tolomei. Ed era un gioco sapiente di relazione e di «commento» esistenziale (una indimenticabile regia rivelatrice di Luca Coppola che l’aveva tradotto con Giancarlo Prati per Bompiani, con altri attori importanti, e la curiosità oggi di un giovanissimo Luca Zingaretti nella tonaca di un fraticello) .

LO SPETTACOLO di Martone dà essenzialità e ritmo quasi cinematografici al Filo di mezzogiorno, sulla drammaturgia (quasi una calibrata sceneggiatura) che dal testo ha tratto Ippolita Di Majo. E non si sottraggono alla ricchezza linguistica e esistenziale dei propri personaggi Donatella Finocchiaro e Roberto De Francesco. Lui uno psicanalista tanto umano e dedicato, da arrivare alla soglia del tradimento professionale. Lei in una interpretazione che ne rivela, rispetto ai numerosi successi ottenuti, una grinta e una caparbietà, nel «bene» come nel «male», da grande spettacolo.