Oggi la bandiera di una cupa e aggressiva esaltazione dell’ identitarismo razzista sventola sulle rovine della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Si parla di globalizzazione, ma la realtà è quella di un conflitto di imperialismi dotati di spaventosi mezzi di distruzione sulla superficie sempre più stretta del globo. Tutto questo si accompagna all’esplosione di intolleranze e fondamentalismi religiosi, spuntati improvvisamente al termine di un secolo tra i meno religiosi della storia.

E’ per questo che si risveglia l’interesse degli storici per gli inizi remoti del processo di cui vediamo gli esiti: la prima globalizzazione, quella che avvenne con la scoperta dell’America e della rotta per le Indie orientali. Alla conoscenza reale del mondo e dell’umanità si accompagnò l’inizio del processo di conquista e di sfruttamento da parte di stati imperiali europei di cui oggi vediamo la fase finale. Un processo che fu inarrestabile in America e in Africa ma che si bloccò davanti alle grandi realtà culturali e politiche dell’Asia: India, Giappone, Cina. Al suo posto si sviluppò invece la componente pacifica dell’espansione europea: la volontà di conoscenza e di confronto.

Accanto a mercanti, viaggiatori e avventurieri, sulle stesse navi furono presenti i missionari della Compagnia di Gesù. A loro si dovette una variante originale delle missioni cristiane: l’antica volontà di convertire e battezzare anche a forza i non cristiani per salvarne le anime abbandonò la forma della costrizione violenta e si ispirò alla strategia che fu definita dell’ ”accomodamento”. Secondo l’insegnamento di Ignazio di Loyola, si doveva trattare di un cedimento iniziale per raggiungere il successo finale – “entrare con la loro per uscire con la nostra”. Ma era una strategia che richiedeva tempo; e l’incontro pacifico tra culture diverse doveva rivelarsi assai più complicato di quello che aveva creduto il primo missionario gesuita approdato in Giappone, il nobile basco Francesco Saverio: il quale credette di riconoscere nella moralità e religiosità giapponese i caratteri fondamentali del cristianesimo: secondo lui, mancava loro per diventare cristiani solo l’annunzio dell’incarnazione di un Dio redentore e l’offerta della vita eterna ai battezzati.

Ai suoi confratelli arrise un discreto successo in mezzo alla popolazione dell’isola di Kyushu, tale da suscitare a fine secolo la reazione ostile di Toyotomi Hideyoshi ostile alle ingerenze straniere. Ma intanto la strategia gesuitica aveva trovato nel nuovo superiore italiano Alessandro Valignano colui che mise a punto la strategia dell’”accomodamento” imponendo ai gesuiti di seguire nel vestirsi, nel parlare, nel ricevere visitatori le regole di uno speciale galateo da lui composto, in modo da essere considerati come i bonzi e ottenere rispetto e considerazione. La sua strategia di penetrazione consistente nell’imparare la lingua e collocarsi ai livelli alti e rispettati della società fu imitata da Matteo Ricci e da altri membri della Compagnia. I risultati furono straordinari sia per la cultura cinese sia per quella europea. I gesuiti resero note in Cina le conoscenze geografiche e scientifiche europee e così vi ascesero a posizioni eminenti : intanto in tutta Europa si leggevano e si discutevano relazioni e libri di storia dedicati a quella parte del mondo Ma fin dove ci si poteva spingere nel tentativo di farsi accettare e fino a che punto erano superabili le differenze? Il cristianesimo aveva ereditato dall’ebraismo la nozione di un Dio persona: la lingua cinese ne aveva una assai diversa.

Accettarla o no? Un altro esempio: I riti cinesi per i defunti erano idolatria secondo i domenicani, per i gesuiti invece erano solo un rito civile. Ancora: nelle culture indù vigeva un durissimo sistema di caste. Accomodarsi e farlo proprio non era forse negare l’idea cristiana di uguaglianza umana? Mentre i letterati cinesi polemizzavano contro i gesuiti accusati di doppiezza, nella Chiesa romana i nemici del loro metodo – soprattutto i domenicani – parlavano apertamente di eresie.

La vicenda si chiuse col fallimento a metà ‘700. Ma l’interesse per questa vicenda gode oggi, non a caso, di una speciale attualità.