Noto per l’immensa ricchezza, ha il terzo Pil pro capite più alto del mondo, che investe anche nella sua incessante politica estera, tanto da essere diventato, per citare un esempio recente, il paese di collegamento tra i Talebani e l’Occidente. Conosciuto per essere proprietario attraverso il suo fondo sovrano del club di calcio più ricco, il PSG delle stelle, nonché organizzatore dei Mondiali del 2022, il Qatar oggi occuperà un po’ di spazio nei media per qualcosa di meno roboante: le sue elezioni «legislative». Sono le prime dall’indipendenza nel 1971 e prevedono la nomina di 30 membri del Consiglio della Shura, gli altri 15 membri saranno nominati dall’emiro Sheikh Tamim bin Hamed al Thani.

Che non si parli di «processo democratico» in atto nel Qatar. Gli analisti spiegano questo voto come simbolico e finalizzato a migliorare agli occhi dell’alleata Amministrazione Biden l’immagine di questo piccolo regno incuneato nel Golfo – confina solo con la cugina e avversaria Arabia saudita -, governato con poteri di fatto assoluti dall’emiro Tamim e accusato di violazione di diritti umani e di non tutelare i lavoratori stranieri presenti nel suo territorio, a cominciare da quelli impegnati nei cantieri degli stadi del Mondiale. Si pensi soltanto che si parlò di elezioni in Qatar nel lontano 2004 ma sono state rinviate sino ad oggi. In passato i circa 300.000 cittadini del Qatar – a fronte di 2,6 milioni di residenti stranieri – hanno potuto votare solo alle elezioni amministrative e ai referendum sugli emendamenti costituzionali. Non partecipano al voto di oggi partiti politici organizzati (inesistenti) e il Consiglio della Shura eserciterà poteri e controlli molto limitati sulle politiche statali generali e il bilancio. L’emiro invece rimarrà responsabile della difesa, della sicurezza, nonché della politica economica e degli investimenti, quello che davvero conta in questo paese di ricchi sfondati. Detto ciò, il voto ha comunque innescato un fermento inedito nel regno. I 284 candidati hanno gareggiato in promesse e proposte durante la campagna elettorale e tra di essi le più combattive sono state le 26 donne. Una di loro, Leena al Dafa, si è distinta per l’accento posto sul miglioramento della condizione delle qatariote, nell’istruzione e dal punto di vista legislativo.

Il vero pepe della consultazione è legato ai cavilli della legge elettorale e sulla differenza tra i discendenti delle famiglie che nel 1930 già vivevano in quello che sarebbe diventato il Qatar indipendente e tutti gli altri. I primi possono votare, gli altri non si è capito bene. Alcuni hanno ricevuto sul cellulare il messaggio di conferma della loro registrazione, altri no, come i membri della tribù Al Murrah che ad agosto hanno scoperto di non poter votare e hanno organizzato una protesta a Doha e lanciato una campagna sui social media. Cose che si vedono raramente in Qatar. La controversia pare essere un regolamento di conti tra la famiglia reale e i Murrah coinvolti nel fallito colpo di stato del 1996. Più di recente, alcuni membri della tribù si sarebbero schierati con l’Arabia Saudita durante il boicottaggio del Qatar, durato più di tre anni, che è stato risolto solo lo scorso gennaio.

Resta da vedere se questo trattamento selettivo porterà a maggiori divisioni tribali e causerà disordini. La legge elettorale, con le sue discriminazioni, nella migliore delle ipotesi sarà modificata solo una volta eletto il nuovo Consiglio della Shura. Si dice però che l’emiro, per spegnere la tensione, alla fine potrebbe sotterrare l’ascia di guerra e selezionare alcuni rappresentanti dei Murrah tra i 15 membri di sua nomina. Un atteggiamento dettato, spiegano alcuni, anche dalla necessità di impedire che il Quartetto arabo – Bahrain, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati – possa sfruttare la disputa per alimentare a proprio vantaggio il malcontento tra i cittadini qatarioti esclusi dalle urne. Sui social, in particolare Twitter, si sono moltiplicate in questi ultimi giorni le critiche al Qatar di cittadini di altri paesi del Golfo decisi a screditare l’intero processo elettorale. Ma l’Emiro Tamim è convinto che farà sua anche questa partita.