Abbiamo incontrato all’Alþingi (il Parlamento islandese) Steinunn Þóra Árnadóttir, deputata di Vinstri Græn (Sinistra Verde) dal 2014, per parlare di femminismo, politiche di genere e dell’inedito governo di «grande coalizione» tra il suo partito e i conservatori.

La presidenza di Katrín Jakobsdóttir ha avuto un certo eco anche in Italia non solo per l’inedita coalizione sinistra-destra ma per il fatto che la prima ministra sia una giovane donna, femminista, ecologista e progressista. Possiamo definire il vostro governo femminista?

Il nostro governo sta lavorando per una reale parità tra donna e uomo ma è necessario fare una premessa: in questo Parlamento la prima coalizione è quella tra le deputate di tutti gli schieramenti – a prescindere dalle divisioni partitiche – che si riuniscono periodicamente per andare al sodo delle questioni più importanti, tralasciando le fisiologiche differenze tra di noi. Ma per rispondere alla domanda sulla nostra azione di governo posso citare l’ultima proposta che abbiamo avanzato come VG: aumentare il congedo di paternità/maternità fino a 12 mesi. Attualmente il padre e la madre hanno diritto a tre mesi a testa più altri tre mesi per l’uno o l’altra (o in alternanza) per un totale, quindi, di nove. Proponiamo di aggiungere altri tre mesi per tutti e tutte. Questo permette di non far pesare tutta sulle spalle delle madri la nascita di un figlio così da non interromperne, per esempio, le carriere professionali. Un provvedimento concreto però l’abbiamo già ottenuto: dal 1° gennaio di quest’anno la retribuzione – per i 9 nove mesi di congedo – è stata, finalmente, portata all’ottanta per cento del proprio salario e questo è uno straordinario incentivo affinché anche i padri lo prendano.

In Europa i movimenti di destra sono sempre più aggressivi contro i corpi delle donne mettendo in discussione il diritto all’aborto, in Islanda qual è la vostra legislazione e il dibattito su questo tema?

Attraverso la nostra ministra della Sanità, Svandís Svavarsdóttir, stiamo portando in discussione una proposta di modifica della legge per il diritto all’aborto. Attualmente per interrompere una gravidanza è necessario un documento di un medico o dei servizi sociali, anche se è prassi concederla sempre, noi proponiamo di abrogare quest’obbligo. Inoltre chiediamo anche di portare il limite per l’interruzione dalle attuali 12 settimane a 22, come indicato anche dall’Oms.

Alla fine del 2017 irrompe – a partire dagli Usa – il movimento #MeToo contro le molestie e la violenza contro le donne: ha avuto qualche eco anche qui?

Il movimento #MeToo ha prodotto un grande dibattito nell’isola. Il Parlamento ne ha recepito le istanze anche perché un gruppo trasversale di donne impegnate in politica ha denunciato abusi e violenze in quasi tutte le formazioni partitiche.

In Italia ci sono le cosiddette “quote rosa” per garantire, almeno per legge, una minima rappresentanza di genere nelle istituzioni. In Islanda esiste qualcosa di analogo?

L’unica legge che abbiamo in materia riguarda le grandi compagnie private che debbono avere dei cda formati al 50% da uomini e al 50% da donne. In Parlamento il rapporto è 60-40 a vantaggio degli uomini anche se nel nostro gruppo parlamentare siamo 6 deputate su 11. Abbiamo anche l’obbligo statutario in VG della parità di genere negli organismi dirigenti e qualora non si riuscisse ad ottenere un equilibrio prevale la componente femminile.

In occasione dell’8 marzo il movimento femminista ha indetto lo sciopero mondiale per rivendicare diritti e fermare la violenza contro le donne. Voi avete vissuto questo appuntamento?

Il movimento femminista islandese organizzato nelle associazioni, nei sindacati e nei partiti ovviamente partecipata agli eventi dell’8 di marzo ma per noi la data simbolo è il 24 ottobre quando celebriamo il Kvennafrí, il Giorno libero delle donne. Nel 1975 tutte le donne d’Islanda scioperarono (si parla di un’adesione del 90%) per chiedere uguali diritti e parità salariale e in 20mila invasero le strade di Reykjavik. L’anno successivo il Parlamento legiferò per la parità retributiva tra uomo e donna ma questo rimase, per lo più, sulla carta. Ecco perché, tutti gli anni, il 24 ottobre le donne d’Islanda smettono di lavorare a un’ora prestabilita – nel 2018 alle 14.55 – per segnalare quale sia ancora la disparità reale tra i nostri salari e quelli dei colleghi uomini. Nonostante la nostra legge per la parità di retribuzione molto c’è ancora da fare per vederla realizzata realmente e non ci fermeremo fino a quando otterremo questo diritto.

Il vostro partito è “euroscettico”?

Noi siamo internazionalisti ma crediamo che l’Islanda stia meglio fuori da questo tipo di Unione Europea con la quale, però, abbiamo un grande interesse a mantenere gli accordi in vigore – come Schengen e il Sistema economico europeo – e a stringere relazioni politiche e diplomatiche sempre più strette.