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La «Prigozhinshina» non basta, tra selfie e viaggi è tutto normale

La «Prigozhinshina» non basta, tra selfie e viaggi è tutto normale

Mosca Le foto con Kadyrov, una visita in Daghestan... Il Cremlino prova a voltare pagina, ma il "monopolio della violenza" è da ricostruire

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 giugno 2023

A quattro giorni dal terremoto della Prigozhinshina (il suffisso “shina” si associa ai protagonisti delle svolte più distruttive della storia russa), il Cremlino si sforza di dare l’idea di un ritorno alla normalità. Ieri, Vladimir Putin ha ricevuto Ramzan Kadyrov con cui ha scattato qualche selfie sorridente. Nel pomeriggio il presidente è volato in Daghestan “per discutere di sviluppo del turismo nel Caucaso settentrionale”. Il viaggio appare bizzarro nelle condizioni post-ammutinamento ma oltre a proiettare un’immagine di sicurezza di sé contribuisce anche a consolidare un’importante costituency del potere putiniano quale la comunità musulmana di Russia: qui «la mancanza di rispetto per il Corano è un crimine, a differenza di altri paesi», ha rinfacciato Putin ai sui critici europei dopo il vilipendio avvenuto ieri in Svezia.
IN REALTÀ, È CHIARO che Putin medita alle necessarie ristrutturazioni del quadro politico che permettano di superare le faglie aperte dall’ammutinamento del suo sodale Prigozhin e continuare il confronto aperto con l’Occidente in Ucraina.
Riguardo a Prigozhin, fonti americane lo danno in un hotel di Minsk, “senza finestre” alludendo a timori che un tentativo di “suicidio” venga attuato nei suoi confronti. È probabile che il Cremlino stia realizzando una lenta uscita di scena dello scomodo oligarca, nei cui confronti, contrariamente a quanto affermato da Putin, si è raccolto il consenso di certi settori della popolazione esasperati dalle disfunzioni del sistema – a Rostov, sulla casa da cui Prigozhin ha diretto la “marcia della giustizia” è stata appesa una targa commemorativa a lui dedicata.

SU TALE SFONDO rimane la questione cruciale della sorte da destinare alla compagnia di ventura Wagner. La sua importanza rimane di rilevo quale una delle formazioni militari russe più efficaci, e quindi imprescindibile tanto per lo sforzo bellico in Ucraina quanto per la proiezione della potenza russa in Africa, dove i mercenari continuano ad operare in coordinazione con la diplomazia di Mosca in una decina di paesi. Dalla Bielorussia inoltre, la Wagner, i cui media continuano a diffondere notizie, si preme di segnalare la sua operatività: «Siamo a breve distanza dal confine con l’Ucraina» ha dichiarato ieri uno dei capi wagneriti.

NEL COMPLESSO, il compito che Putin dovrà affrontare nelle settimane a venire è quello di una ricostruzione complessiva del sistema politico russo, di quella “verticale del potere” la cui erezione ha considerato sua missione dai primi giorni in cui si è trovato alla guida del Paese. La direzione più impellente in tale compito riguarda restaurare il monopolio della forza e quindi quale misure applicare all’esercito, dove bisogna mettere mano alla questione della corruzione che ha alimentato il supporto a Prigozhin.

LA COSA È BEN EVIDENTE dagli Usa, da dove ieri, tramite il New York Times, è stato diffuso un affondo contro la reputazione di uno dei principali generali russi, Sergej Surovikin, comandante delle operazioni in Ucraina l’anno scorso ed attualmente vice di Valerij Gerasimov. Secondo gli americani, Surovikin, effettivamente parte di una lista di generali e funzionari considerati “membri onorari” della Wagner, era al corrente dei preparativi della ribellione e questo implicherebbe che molti alti ufficiali erano pronti a schierarsi contro il Cremlino. Il portavoce di quest’ultimo, Dmitry Peskov, ha bollato quale «pettegolezzo» l’informazione, che effettivamente sembra un tentativo atlantico di creare divisioni fra i vertici russi, anche dato il difficile rapporto che intercorre fra Surovikin e il capo della difesa Shoigu.

IL CREMLINO ha infine notato con soddisfazione l’ennesima gaffe di Joe Biden che in un incontro con la stampa ha confuso una guerra con un’altra. Alla domanda se considerava Vladimir Putin indebolito dai recenti avvenimenti, il sempre più marasmatico presidente ha risposto: «Sta chiaramente perdendo la guerra in Iraq» – probabile lapsus di una mente ossessionata dal ruolo svolto nel 2003 nel precipitare l’aggressione di Washington contro Baghdad.

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