In Italia e in Europa sentenze intorno alla questione curda esistono. Come spesso accade, sono i tribunali a segnare la via verso decisioni politiche scomode. E che per questo restano incompiute.

Il caso della detenzione in totale isolamento nell’isola-prigione turca di Imrali del fondatore e leader del Pkk, Abdullah Ocalan, è una di queste. Lo è anche quello dello stesso Partito dei Lavoratori del Kurdistan, inserito dall’Unione europea nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Sono queste le due battaglie, tra loro legate e interdipendenti, da anni portate avanti da movimenti e associazioni di giuristi e per i diritti umani in tutto il mondo: far uscire Ocalan dalla sua cella e il Pkk dalla black list. Ieri a Roma è stato ribadito in una conferenza stampa organizzata dall’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) e da Rete Kurdistan, in vista delle manifestazioni di domani a Roma (alle 14.30 in Piazza dell’Esquilino) e a Milano (alle 14 a Largo Cairoli). Per l’occasione è stato presentato il sito freeapo.org, aggregatore di materiali in costante aggiornamento sulla storia e l’attualità del Kurdistan.

Dalle parole dei partecipanti è emerso subito il retroterra politico ma anche legale delle due questioni. Di «finzione giuridica» parla Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, in passato presidente del Cpt, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura.

È in questa veste che per tre volte ha raggiunto l’isola di Imrali, nel mar di Marmara, per incontrare Ocalan: «La sua prigionia è l’emblema della finzione giuridica: una persona che ha ottenuto l’asilo politico in Italia dopo essere stato cacciato dal nostro paese. Intorno a lui la Turchia ha costruito una prigione mandandoci altri detenuti così che l’Europa non potesse più parlare di isolamento».

Palma cita la sentenza della seconda sezione civile del Tribunale di Roma, primo ottobre 1999: Ocalan era stato catturato dieci mesi prima dai servizi turchi in Kenya. «Il tribunale ha riconosciuto il diritto all’asilo – aggiunge Giovanni Russo Spena, di Giuristi democratici e portavoce del Comitato per la liberazione di Ocalan – La sentenza contiene un riconoscimento dei diritti dei curdi negati dalla Turchia e a Ocalan la sua attività costante a tutela di quei diritti. Ci scandalizza che governo e parlamento italiani non la facciano rispettare».

Non mancano sentenze nemmeno in Europa. Una in particolare, spiega l’avvocata Simonetta Crisci, anche lei membro del Comitato: è quella emessa nel 2018 dalla Corte di Giustizia dell’Ue, in Lussemburgo, secondo cui l’inserimento del Pkk nella black list è ingiusto: «Non è ancora definitiva perché è stato mosso appello, ma ha un forte significato. La Corte di Lussemburgo può intervenire anche per violazioni commesse da paesi terzi. Se si giungesse a togliere il Pkk dalla lista del terrorismo, cambierebbero molte cose. Un esempio: oggi Ankara bombarda il campo di Makhmour nel Kurdistan iracheno a fronte di un accordo con Erbil e giustificandosi con la lotta a un gruppo terrorista». Di sentenze ce n’è anche un’altra, stavolta definitiva, della Corte suprema belga: il Pkk non è terrorista ma parte in un conflitto interno.

Che la questione vada fuori dai confini nazionali lo ha ricordato in apertura Michele Rech, il fumettista Zerocalcare: «In Europa va riconosciuto il ruolo di Ocalan e del Pkk nella democratizzazione delle società in Medio Oriente e nell’individuazione di una soluzione che superi la dicotomia della scelta: regimi autoritari o barbarie jihadista».

«Ocalan va liberato – aggiunge Ibrahim Bilmez, avvocato di Ocalan (qui l’intervista de il manifesto pubblicata ieri) – Per motivi giuridici, per motivi etici visto il suo sforzo per la pace e per motivi politici: la soluzione della questione curda è fondamentale per l’intera regione».