I giornalisti, i fratelli musulmani, donne e bambini, i sostenitori dell’esercito e gli stessi soldati. Ci sono tutte le anime e le rappresentanze della società egiziana sulla camionetta-cella di Eshtebak, il film di Mohamed Diab che ha aperto la selezione di quest’anno di Un Certain Regard.

Sin dalle prime inquadrature il regista ci annuncia che ci troviamo nel 2013, durante la seconda ondata» degli scontri di piazza che hanno sovvertito l’ordine politico in Egitto. Ovvero le sollevazioni popolari che, a due anni dalla deposizione di Mubarak, hanno condotto all’ascesa al potere del presidente Mohamed Morsi.

Siamo nella camionetta, vuota, il set di tutto il film, che va riempiendosi progressivamente di ogni genere di contestatori. I primi a essere arrestati sono due reporter, osservatori neutrali degli avvenimenti di cui si vuole silenziare la testimonianza. Poi arrivano i manifestanti pro esercito scambiati per sostenitori di Morsi, gli stessi fratelli musulmani e così via fino a comprendere perfino un militare che simpatizza coi prigionieri, in un accumulo onnicomprensivo che se non fosse per la sua tragicità ricorderebbe la celebre gag della cabina dei fratelli Marx in Una notte all’opera.

Stretti nella stessa gabbia, i prigionieri si scagliano gli uni contro gli altri , rispecchiando le lotte fratricide che si consumano nelle strade di tutto il paese. Quei pochi metri che li costringono nella stessa paura e sofferenza fanno però progressivamente diradare la cieca ferocia, fino allo spuntare di una reciproca solidarietà. E si rimpiangono tutti insieme i giorni del grande fronte unito contro il dittatore Mubarak.

Quella rappresentata dal regista è chiaramente l’apologia di una possibile fratellanza del popolo egiziano, generica e quasi furba nel suo mettere tutti sullo stesso piano, rinunciando così a individuare qualsiasi responsabilità nella tragedia del suo paese e livellando ogni scelta di campo.
E così nella prospettiva odierna – in cui l’Egitto è governato da una sanguinaria dittatura militare – questo ecumenico messaggio di fratellanza sembra ancora più inoffensivo.