Dovrebbe essere evidente, ma purtroppo non lo è: dirigere un’impresa o un’organizzazione, per quanto grande ed importante, è altra cosa che governare un paese. Un paese è una formazione storico-sociale e naturale che ha tutta la complessità di un organismo vivente. Lavoro, studio, difficoltà, aspirazioni, sofferenze, interessi, passioni, sogni… sono esperienza quotidiana delle persone e dei gruppi che fanno parte di una società e la trasformano continuamente.

La capacità politica di governare deve basarsi sulla comprensione profonda di ogni dimensione umana e ne deve essere partecipe, perché il suo compito fondamentale è favorirne l’evoluzione migliore. Per farlo occorrono particolari attitudini e doti di saggezza e giustizia, che devono essere riconosciute e apprezzate dai concittadini. E non c’è intelligenza strumentale, per quanto raffinata, calcolo utilitario, per quanto ben ponderato, che possano lontanamente surrogarle.

Il futuro di uno e più popoli non può essere costruito e nemmeno pensato senza interpretare e soddisfare i bisogni più veri ed autentici delle persone che li formano. E non basta. Quelle persone devono essere messe nella condizione migliore per riconoscere, esse stesse, ed esprimere al meglio i propri bisogni. Le loro scelte saranno effettivamente libere se potranno avvenire sulla base di coordinate di senso individuali e sociali. Questo è il télos della politica.

È vero che la politica è stata all’altezza dei suoi compiti solo in alcuni contesti e fasi storiche. Ma il suo ripiegare a mera gestione dell’esistente, con la quasi inevitabile conseguenza di perdere di vista le sue finalità e diventare strumento di se stessa, la rende illegittima, la espone ad abusi e corruzione. In definitiva, la mortifica e la spegne.

E ciò che è inammissibile in fasi di relativa stabilità, come può essere tollerato in fasi di emergenza? Quando si è esposti a squilibri ecologici, demografici, sociali che mettono a repentaglio il nostro stesso futuro? Gli effetti di questa alienazione sono tanto assurdi che si continuano a fare gare di potenza nel progettare viaggi su altri pianeti, mentre stiamo distruggendo il nostro. Si costruiscono armi sempre più sofisticate e capaci di eludere le difese avversarie, mentre stiamo crollando nell’incapacità di proteggerci da un virus. Un virus che ha seminato finora 2 milioni e 423 mila morti accertati.

Un virus che manda a rotoli un sistema economico e sociale che i suoi autori e gruppi dominanti non si stancavano di vantare come il migliore dei sistemi possibili, anzi l’unico, e foriero di ogni benessere e prosperità futura. Un virus che, alla fine, si cerca di combattere con la stessa logica e mezzi del profitto di aziende private.

La domanda è: fino a quando dovremo sottostare alla logica meramente utilitaria, contingente, parziale, e perciò irresponsabile, portata all’esasperazione dai gruppi dominanti del tardo capitalismo? E cosa possiamo aspettarci dai politici e dai tecnici che, obbedienti, fanno parte di quei gruppi?

Ormai migliaia di movimenti ecologici, pacifisti, femministi, in difesa dei diritti umani, contro ogni forma di disuguaglianza e discriminazione sono attivi in ogni parte del mondo. Si battono contro le sempre più stridenti e minacciose contraddizioni del sistema. Occorre che tale consapevolezza lieviti fino all’affermazione di una nuova razionalità storica basata su un rovesciamento di paradigma.
A lungo i nostri comportamenti sono stati soggiogati da una costruzione piramidale della società governata dal potere che ne stava al vertice.
Una delle conseguenze e funzioni di questa geometria deforme è stata l’aggressività rivolta verso ogni possibile minaccia proveniente dall’ambiente esterno o interno.

Tra l’altro, ciò ha reso quasi totalmente prevalente un atteggiamento volto alla lotta contro la malattia e la morte, piuttosto che alla salvaguardia della salute e della vita. Limite evidente anche nella concezione e pratica della medicina e riscontrabile in questo drammatico frangente.