Un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa ha dichiarato al quotidiano The Hill che il presidente Joe Biden ha inviato una lettera al presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas a proposito delle recenti tensioni con Israele a Gerusalemme e a Gaza. La notizia è stata confermata anche dall’agenzia ufficiale palestinese Wafa e arriva dopo la condanna della Casa Bianca per il lancio di razzi di Hamas contro Israele.

«Gerusalemme, una città di tale importanza per le persone di fede in tutto il mondo, deve essere un luogo di coesistenza», ha detto la portavoce Jen Psaki. Poche ore prima il consigliere per la sicurezza Jake Sullivan, lo stesso che la scorsa settimana aveva chiesto a Israele di fermare gli sgomberi a Sheikh Jarrah, ieri ha parlato di «diritto di difesa di Israele». Inizialmente Biden non aveva voluto usare il suo capitale politico nella questione israelo-palestinese e la riacutizzazione del conflitto ha trovato l’amministrazione impreparata. Non c’è nemmeno un candidato per la carica di ambasciatore degli Stati uniti in Israele.

Di fronte alle richieste di una dichiarazione unitaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, gli Stati uniti hanno esitato, ma cercare di eludere il tradizionale ruolo di mediazione Usa non sembra più un’opzione praticabile.

Dal suo insediamento Biden aveva invertito alcuni dei passi più radicali di Trump nei confronti di Israele, ripristinando i finanziamenti statunitensi ai palestinesi e riprendendo i contatti diplomatici con i funzionari in Palestina, ma altre politiche non sono state toccate, come il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele. E l’amministrazione è stata timida sul ritorno ai riferimenti ufficiali pre-Trump ai territori occupati.

Da quando le tensioni sono scoppiate nuovamente, l’ala più a sinistra del partito democratico ha chiesto al presidente di schierarsi in modo netto contro Netanyahu, a cominciare dalla senatrice Elizabeth Warren e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, ma questa posizione non è stata abbracciata dalla Casa bianca.

Le piazze statunitensi, invece, si sono riempite e si sono svolte manifestazioni da New York a Washington DC a Los Angeles. A New York gli impiegati del consolato israeliano sono stati mandati a casa praticamente a inizio giornata mentre fuori la polizia lottava per tenere separati i gruppi di sostenitori dei diritti palestinesi dal gruppo (decisamente più piccolo) dei filo israeliani.

Gli agenti hanno separato i manifestanti con reti in metallo e con un cordone di poliziotti e alla fine i gruppi in sostegno della Palestina hanno bloccato la 42esima strada a Manhattan, sventolando la bandiera palestinese.

«Non moriranno solo palestinesi, moriranno anche molti israeliani, non è difficile da capire – dice Allen Cohen, 46 anni di Brooklyn militante del gruppo If Not Now, un movimento di ebrei americani per porre fine all’occupazione israeliana e trasformare la comunità ebraica Usa – Non è difficile nemmeno capire che negli Stati uniti bisogna prendere una posizione politica netta contro l’occupazione. Come ebrei eravamo disumanizzati dall’oppressione che abbiamo affrontato e ora siamo disumanizzati da quella che stiamo infliggendo. L’occupazione è un incubo quotidiano per coloro che vivono sotto di essa e un disastro morale per chi la sostiene e la amministra».