Tra i sindacati volano bordate e Raffaele Bonanni, leader della Cisl che pure era tra le sigle che avevano indetto lo sciopero, ora accusa: dietro la protesta della Rai contro i tagli del governo «ci sono persone che prendono milioni all’anno» mentre «io rappresento chi prende 1.200 euro al mese» e «non abbiamo fregole politiche». Ma «se i lavoratori lo confermano, siamo anche noi per confermare lo sciopero», insiste Susanna Camusso.

La task force di esperti del settore che secondo le indiscrezioni starebbe lavorando alla riforma della tv pubblica che ora tutti chiedono – quelli che insistono con lo sciopero, quelli che non lo hanno mai sostenuto e quelli che si sono sfilati strada facendo – viene disconosciuta dai presunti animatori: il sottosegretario alle comunicazioni Antonio Giacomelli spiega che «questo governo non considera il futuro del servizio pubblico come un tema solo per addetti ai lavori», Matteo Maggiore, ex Bbc, dice di non essere mai stato contattato per entrare nel gruppo e così l’ex Rai Stefano Balassone.

E ancora, gira voce che a Giovanni Floris (tra i conduttori Rai-non-Rai, cioè non più dipendenti, i cui contratti sono oggetto di attenzioni e polemiche ma non possono essere ridimensionati prima della scadenza) è interessata Mediaset. Mentre dal governo si continua a prendere di mira il sindacato con Angelo Rughetti, sottosegretario renziano doc alla semplificazione, che attacca: sciopero «politico» e «posizionamento di leader sindacali che nell’ultimo periodo non hanno cercato il dialogo». E se questa volta i berlusconiani stanno con i «comunisti» della tv pubblica, sempre dal governo tutti rinviano alla famosa riforma che dovrebbe delinearsi entro l’anno.

Il bandolo insomma ancora non si trova, perché al momento in bella evidenza sul piatto ci sono solo i 150 milioni che saranno tolti al canone del 2014 con il decreto Irpef. Anche viale Mazzini deve darsi una regolata, si ripete da tutte le parti, ma i vertici dell’azienda vorrebbero capire come. La presidente Anna Maria Tarantola ieri è stata ascoltata dalla commissione parlamentare di vigilanza, chiedendo un ’aiutino’ al governo: «Noi siamo amministratori che devono mettere in pratica le indicazioni dell’azionista. E se l’azionista ci desse qualche informazione in più, ci agevolerebbe». Indicazioni «sul tipo di modello, su quali siano le risorse. In questo modo si può fare un piano strategico» se si deve rivedere il piano industriale «come si fa? Le modalità ’al contrario’ ci creano un problema» mentre «occorre conoscere dal parlamento e dall’azionista il modello di servizio pubblico cui si vuole tendere». La Rai, prosegue la presidente, è pronta a collaborare a un cambiamento radicale, ma per ottenerlo bisogna intervenire sulla missione, la governance, il canone. Ma appunto, il governo parte dai tagli. Che, prosegue Tarantola, avranno «impatti rilevanti per l’azienda», e l’unico modo per far fronte alle minori entrare, – un terzo del capitale sociale a partire da settembre – aggiunge, sarà la vendita di una quota di minoranza di Raiway.

In ballo c’è sempre l’eventuale (ma improbabile) ricorso contro il decreto Irpef, e per decidere il consiglio d’amministrazione aspetta il parere richiesto al costituzionalista Enzo Cheli. Il cda oggi discuterà invece la lettera inviata martedì al presidente della repubblica dall’Ebu (l’associazione delle tv pubbliche europee) che mette in guardia dagli effetti del decreto Irpef sulla Rai sottolineando che il prelievo forzoso viene effettuato sull’esercizio in corso, mentre esiste una correlazione imprescindibile fra obblighi di servizio pubblico e finanziamento e «non si può ridurre il finanziamento se prima non si è rivista la missione e l’organizzazione del servizio pubblico». Dunque sia Tarantola che il direttore generale Gubitosi aspettano dal ministero dell’Economia, l’azionista, indicazioni.