Nessun colpevole e nessuna responsabilità penale per la decisione di non rinnovare la scorta a Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalla nuove Brigate rosse la sera del 19 marzo del 2002. A decidere la fine del procedimento contro Claudio Scajola e Gianni De Gennaro per avvenuta prescrizione è stata ieri la sezione distrettuale del tribunale dei ministri di Bologna una volta accertata l’intenzione dell’ex ministro degli Interni e dell’ex capo della Polizia, entrambi indagati per cooperazione colposa in omicidio colposo, di non rinunciare al diritto di avvalersi del diritto derivato loro dal trascorrere del tempo. «A questo punto faranno i conti con le proprie coscienze», ha commentato la decisione il legale della famiglia Biagi, l’avvocato Guido Magnisi. Per la difesa di Scajola e De Gennaro, la decisione del tribunale di archiviare il procedimento era inevitabile. «La richiesta della procura di ascoltare De Gennaro era inammissibile, perché l’indagato non può rinunciare alla prescrizione, possibilità invece ammessa per gli imputati, ha detto l’avvocato Franco Coppi che assiste l’ex capo della polizia (tesi contestata dai giudici per i quali non esiste in merito una giurisprudenza consolidata). Per i legali di Scajola, invece, si è trattato «di un procedimento assolutamente surreale», mentre attraverso il suo ufficio stampa l’ex ministro ha fatto sapere che «mai è stato chiesto» a Scajola «se avvalersi o meno della prescrizione».
L’inchiesta bis che si proponeva di scoprire i perché della mancata assegnazione di una scorta al giuslavorista collaboratore dell’allora ministro del Welfare Roberto Maroni, aveva avuto una svolta il 26 febbraio scorso con la decisione della procura bolognese di indagare Scajola e De Gennaro. Per i magistrati entrambi avevano gli elementi per valutare i rischi che correva Biagi e gli strumenti per intervenire. Se lo avessero fatto – è il ragionamento dei pm – se avessero ordinato una seppur minima forma di protezione nei confronti del giuslavorista, probabilmente Biagi non avrebbe subito l’attentato che lo ha ucciso. Invece nonostante i loro ruoli al vertice della pubblica sicurezza, né Scajola né De Gennaro si mossero, rimasero «del tutto inerti».Una convinzione che i magistrati hanno motivato con il fatto che i due indagati non avrebbero preso in considerazione le relazioni dei servizi che individuavano Marco Biagi come un obiettivo dei terroristi per il ruolo ricoperto, ma non avrebbero ascoltato neanche le tante «autorevoli segnalazioni circa l’elevata esposizione del professor Biagi a rischio attentati».

Visto però il tempo trascorso dai fatti, il solo modo perché si potesse arrivare all’accertamento della verità sarebbe stata la disponibilità da parte dell’ex ministro e dell’ex capo della polizia a non avvalersi della prescrizione. Cosa che, per un motivo o per un altro, non è stata fatta, rendendo così impossibile procedere. «La prescrizione era la nostra richiesta», è stato l’unico commento rilasciato a caldo dal procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso. Evita ogni polemica Roberto Maroni, che quando era ministro del Welfare aveva in Biagi un suo stretto collaboratore. «Non entro nel merito delle questioni e delle prescrizioni – ha detto il presidente della Lombardia – per me rimane il dolore di quello che è successo. Ho un ricordo ancora molto vivo di Marco Biagi».