La passione di Gesù come riflessione sulla sofferenza e sulla speranza in un’«epoca problematica», la nostra di oggi, come dice lo stesso autore, John Adams, presentando (in italiano) la sua opera/oratorio The Gospel According to the Other Mary (2012) al pubblico della sala Santa Cecilia. Vicenda biblica e momenti del tempo moderno si intrecciano. La casa di accoglienza per donne disoccupate è stata aperta da Maria Maddalena e da sua sorella Marta. Potrebbe essere di oggi e del tempo di Lazzaro, che le due donne assistono, morto e resuscitato da Gesù al tempo di allora. C’è una rivolta a Beirut e Damasco che Gesù, pacifista, indirizza verso la rassegnazione in attesa della resurrezione. C’è uno sciopero di lavoratrici messicane violentemente represso, poi c’è il Golgota e la Pasqua di Gesù risorto.

ADAMS come varie volte in passato (Nixon in China, 1985, per esempio) ha lavorato a quest’opera in collaborazione con Peter Sellars, che ha scritto il libretto utilizzando antico e nuovo Testamento e testi di autori novecenteschi – dalla attivista cattolica Dorothy Day a Primo Levi, dalla scrittrice/scrittore (bisessuale, transgender) June Jordan alle poetesse Rosario Castellanos e Louise Erdrich – più un testo di Hildegard von Bingen. Che la rivoluzione non sia un pranzo di gala a John Adams non importa niente, le lavoratrici messicane imprigionate pregano e questa sembra la loro forma di resistenza più efficace. Ma elogi all’accoglienza dei profughi: di Primo Levi con la voce di Lazzaro (il tenore Jay Hunter Morris) risuonano i versi «accendi il lume, spalanca la porta che il pellegrino possa entrare». Come sempre occorre dimenticare la trama, anche se ad Adams i significati «civili» e «umanitari» dell’opera stanno molto a cuore. Ascoltare la musica. Una cosa c’è subito da dire: Adams non è più né minimalista né post-minimalista.

I RICORRENTI ostinati ritmici non sono nemmeno lo scheletro della partitura ma elementi di un procedimento sonoro che punta assai di più sulla complessità del tessuto orchestrale, dove prevalgono bellissime melodie «infinite» assai cantabili ma affiorano forti sequenze dissonanti e quasi materiche. E non c’è ombra di ripetizione, cioè del marchio di fabbrica del minimalismo.

IL CANTO di Maria (mezzosoprano Kelley O’Connor) è molto «duro», tipicamente ‘900 moderno, nella prima scena (in cella, in tempi d’oggi), diventa del genere song come nelle opere liriche di Philip Glass – oh, bè, certo, la storia minimalista non è del tutto negata -, lineare, dolce, quando è sul Golgota sotto la croce di Gesù. E un po’ questo è il carattere alterno, senza essere affatto incoerente, di tutte le parti di canto dei solisti. Al coro e in particolare al coro di donne sono riservate parti davvero pregevoli, commosse, di un lirismo contenuto, in unisoni articolati, sinuosi. Ma le zone forse più felici dell’opera sono quelle dove agiscono i tre controtenori (i «narratori»). Raffinate, imprevedibili, di perfetta costruzione, anche in contrappunto.