Ai rifugiati di Casale san Nicola, a Roma, sono arrivate le parole di chi ha vissuto sulla propria pelle le guerre e i lager. «La mia solidarietà ad ogni profugo – scrive Edith Bruck sopravvissuta ad Auschwiz – da dovunque venga e ovunque si trovi». «Non possiamo essere indifferenti – tuona invece Piero Terracina, anche lui sopravissuto alla Shoa -. Dell’indifferenza sono stato testimone e vittima quando nel 1938 il governo italiano emanò una lunga serie di provvedimenti a difesa della razza. E tutto accadde nell’indifferenza della maggioranza, indifferenza che portò me e tutta la mia famiglia nell’abisso di Auschwiz, da dove soltanto io riuscii a risalire».
Perché entro il 12 marzo, i 77 ragazzi sopravissuti alle guerre, al terrorismo islamico, al deserto e al mare, devono lasciare la struttura situata nella zona nord della capitale. L’ordinanza della prefettura intima alla cooperativa Isolaverde, che gestisce il centro «di proporre entro 30 giorni l’utilizzo di altri stabili». La decisione, si legge, viene presa per «motivi ambientali».
Nonostante il blocco stradale di un gruppo di residenti e gli scontri di luglio tra polizia e gli estremisti di destra di Casa Pound, i richiedenti asilo avevano avviato un percorso di integrazione, condotto dalla psicologa Laura Selvaggi, in attesa dello status di rifugiato. Frequentano la scuola di Sant’Egidio, seguono le lezioni interne, collaborano alla gestione della comunità, formano una squadra di calcio, suonano, si fanno conoscere nella zona: «L’accoglienza di ragazzi di altri Sud del mondo – ha scritto loro Eugenio Bennato – è la massima espressione contemporanea della cultura italiana e della sua civiltà .Ed è il più forte gesto di denuncia e di isolamento delle deliranti follie estremistiche. Siamo con voi . La musica è dalla vostra parte».
Gabriele è un ragazzo di ventiquattro anni con un ritardo mentale, che abita a pochi passi da San Nicola. «Non ha mai avuto un amico – racconta sua madre, Maria Grazia – ma un giorno per strada, ha incontrato Enza, un ragazzo della sua età, che vive al Casale e che viene dal Gambia. “Sei proprio un bel negro” gli ha detto Gabriele, e tutti e due sono scoppiati a ridere. Ora i due ragazzi sono sempre insieme».
Modi è nato nel Mali dove,dal colpo di stato del 2012, si continua a sparare. E’ diventato amico di un elettricista che vive da queste parti, ha imparato cosa sia la corrente elettrica e cosa fare ogni volta che salta la luce.
Anche Damboù viene dal Mali, dove sono solo le donne a pensare al cibo, ma è sempre lui il primo ad aiutare in cucina. Wally è andato via dalla Mauritania a 14 anni: nel suo paese c’è ancora la schiavitù. Da poco è stato operato a un occhio, ma ha voluto tornare al Casale dall’ospedale da solo, con il trenino,per non disturbare agli operatori. Tutti insieme spesso si incontrano a pulire le strade, dove l’Ama non arriva.
Adesso, dalla prefettura, giunge lo sfratto: «Non può considerarsi ammissibile – si legge – un dispiegamento continuo di forze dell’ordine, al fine di garantire il pacifico espletamento del servizio di accoglienza». Perché non sono i migranti ad essere un rischio per la sicurezza. Anzi, sono loro stessi ad essere in pericolo, come era accaduto in luglio, quindi se ne devono andare.
Il paradosso solleva le proteste. In una interrogazione parlamentare, il senatore di Sel Massimo Cervellini ribadisce che, dopo gli scontri di luglio non si è registrato alcun allarme sociale. E la maggioranza del Municipio XIV chiede che «l’accoglienza vinca sulla paura»., mentre l’Unione inquilini si appella al prefetto affinché riveda la sua decisione.