L’Istat ha rilevato l’uscita di poco più di 400 mila individui dalla povertà assoluta nel 2019: da 5 milioni e 50 mila di individui si è passati a 4 milioni e 600 mila. Il calo, il primo da quattro anni, si è verificato in concomitanza dell’introduzione del cosiddetto «reddito di cittadinanza» che ha interessato nella seconda parte dell’anno scorso oltre un milione di famiglie in difficoltà, all’incirca 2 milioni e mezzo di persone. Questa coincidenza va tuttavia contestualizzata. In primo luogo, ha precisato l’Istat, la povertà assoluta resta su livelli molto superiori a quelli precedenti la crisi del 2008-2009. Nei dieci anni successivi è raddoppiata. Rispetto a questa galassia una misura fortemente selettiva come il «reddito di cittadinanza» non ha interessato l’intera platea dei poveri, né ha cambiato la loro condizione. Lo dimostra la non coincidenza tra coloro che sono usciti dalla povertà e il numero almeno sei volte più grande dei beneficiari di un sussidio che in media è di 513 euro al mese per 18 mesi. Sono in molti ad essere ben al di sotto della soglia, e solo altri a percepire il massimo di 780 euro.

IN UNA NOTA esplicativa del rapporto l’Istat ha precisato che le famiglie che avrebbero diritto a percepire il «reddito» e quelle in condizione di povertà assoluta sono «due universi solo parzialmente sovrapponibili». La platea del «reddito» è misurata con l’indicatore dei redditi e del patrimonio Isee e si basa sulle auto-dichiarazioni verificate dall’Inps. Quella dei poveri assoluti è concepita in base alla spesa per consumi ed è in grado di cogliere fattori a lungo termine nella composizione dei redditi che sono influenzati da «fattori congiunturali come shock o break strutturali dell’economia». In questa chiave il «reddito» è uno strumento politico «fortemente selettivo» che ha discriminato, in maniera incostituzionale, i più poveri tra i poveri, le famiglie straniere che risiedono in Italia da meno di dieci anni, un omaggio dei Cinque Stelle quando erano al governo della Lega. Parliamo di circa 400 mila persone, escluse da una norma razzista. Secondo l’Ismu la povertà incide tra gli stranieri residenti cinque volte in più rispetto ai cittadini con nazionalità italiana. I dati elaborati dall’Istat saranno presto superati.

LA CRISI SOCIALE innescata dal Covid 19, la seconda in dodici anni, moltiplicherà i poveri assoluti e inciderà sui cosiddetti «poveri relativi» che non sono stati interessati dal «reddito» e sono rimasti stabili: 8,8 milioni di persone, pari a poco meno di 3 milioni di famiglie. L’atteso aumento della disoccupazione tra 500 mila (ipotizza il governo nel Def) fino a 800 mila (stima la Banca d’Italia), e il drastico peggioramento della precarietà di massa, incideranno profondamente anche su questa condizione. Nuove povertà si aggiungeranno a quelle precedenti, peggiorando le condizioni di vita già precarie, collaborando a formare una nuova questione sociale di enorme impatto. L’effetto momentaneo di alleviamento della povertà è evidente su quella minorile. È diminuita: da un milione e 260 mila bambini si è passati a un milione e 137 mila nel 2019. La nuova crisi potrebbe sprofondare un milione di bambini in più nella povertà, sostiene Save The Children.

IN QUESTA PROSPETTIVA la volontà del governo di non trasformare i criteri categoriali, estendendo in maniera universale, individuale e incondizionata il «reddito», renderà questo strumento poco utile per affrontare la nuova crisi. Senza contare che la sua selettività diventerà l’occasione di nuove esclusioni, mentre servirebbe un radicale ripensamento del Welfare in una società che dovrebbe tutelare il diritto di esistenza, la condizione principale di una nuova cittadinanza sociale. Ad oggi il «reddito di cittadinanza» prevede un feroce sistema di workfare che potrebbe obbligare al lavoro gratuito fino a 16 ore a settimana, alla ricerca di un lavoro anche su tutto il territorio nazionale, premi e punizioni per rendere «occupabili» i poveri in un mercato dove non esisterà un «lavoro» da occupare.

«LA POVERTÀ è diminuita grazie al reddito di cittadinanza, una misura di civiltà» ha detto Vito Crimi (Cinque Stelle) che lo ha definito uno«“strumento di giustizia sociale e di affrancamento». In tutta evidenza non lo è, sia per la sua selettività tra i poveri italiani, sia per la discriminazione ai danni dei non nazionali. La rimozione della realtà è accompagnata da una visione della povertà tutt’altro che emancipativa, ma da capitalismo compassionevole: «Madri e padri di famiglia – ha detto la ministra del lavoro Nunzia Catalfo – possono contare su un sostegno concreto per portare un pasto a tavola». Ciò non vale per milioni di esclusi più precari dei precari, più invisibili degli invisibili.