Nell’età del capitalismo trionfante, segnata dalla retorica del merito e dalle virtù della competizione, le ragioni dell’eguaglianza sembrano non avere più ragione di esistere. Eppure tutti noi sappiamo che una democrazia non può vivere senza eguaglianza e che lo stesso costituzionalismo rischierebbe fatalmente di deperire semmai dovesse rinunciare ad affermare le ragioni dell’égaliberté, come definita da Etiénne Balibar in un suo recente volume. Di qui, il bisogno di rilanciare nell’immediato «il progetto costituzionale dell’uguaglianza».

È questo l’appassionato appello contenuto nel volume collettaneo, curato da Chiara Giorgi, docente di Storia delle Istituzioni politiche all’Università di Genova (Il progetto costituzionale dell’uguaglianza, prefazione di Stefano Rodotà, Ediesse, euro 13). Un appello divenuto tanto più urgente quanto più la crisi economica tende drammaticamente ad abbattersi su vaste aree della società cancellando, giorno dopo giorno, diritti, garanzie sociali, lavoro.
Siamo in presenza di una drammatica e irrisolta estensione delle aree del disagio sociale che ha, in questi anni, determinato un’inedita e dilaniante «esplosione delle diseguaglianze» (così come definita da Laura Pennacchi). Eppure la povertà – avverte Enrico Pugliese – continua ad essere la grande «questione rimossa». Né vi è da sorprendersi: ci troviamo a vivere una fase storica che ha fatto della competizione il motore dell’organizzazione sociale e del mercato il modello etico sul quale costruire le relazioni umane.

Una vera e propria offensiva politica e culturale che ha le sue origini agli inizi degli anni Ottanta quando, in nome del dogma liberista, si diede vita (con gli esecutivi Thatcher e Reagan) a una nuova fase del governo dell’Occidente. È da questa svolta neoconservatrice, teorizzata sin dagli anni Settanta dalla Trilateral, che trarrà forza quel lento (ma pervasivo) processo di dissoluzione del costituzionalismo democratico che rischia di oggi di consumarsi sotto nostri occhi. Bersaglio privilegiato di questa offensiva sarà, non a caso, l’idea costituzionale di eguaglianza e la convinzione, ad essa sottesa, che «senza eguaglianza la libertà si chiama privilegio».

Di qui l’esigenza – espressa con toni marxiani da Gaetano Azzariti – di riprendere «la lotta rivoluzionaria per l’uguaglianza di ognuno come condizione necessaria per il libero sviluppo di tutti», coinvolgendo in questo movimento storico non solo i cittadini, ma anche i migranti. Per il costituzionalista Azzariti, l’eguaglianza – per inverarsi nuovamente nella storia – ha pertanto bisogno di tornare ad essere il terreno prioritario di azione di tutti gli esclusi, gli stranieri, i discriminati per sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Sono questi, d’altronde, i soggetti a cui si rivolge l’art. 3 della Costituzione repubblicana: il «capolavoro istituzionale» di Lelio Basso.
Ed è proprio all’impegno costituente di Basso e al suo «capolavoro» che Chiara Giorgi dedica il suo saggio, disvelandone accuratamente, pagina dopo pagina, genesi e sviluppi di questa norma-principio. Norma dalla quale trarranno consistenza, a partire dalla fine degli anni sessanta, non solo i diritti sociali, ma più in generale, i processi di costruzione dello Stato democratico-sociale (sulla «portata rivoluzionaria del principio dello Stato sociale», con particolare riferimento alla Legge fondamentale tedesca, il volume contiene un interessante contributo di Erhard Denninger).

Ma il tentativo di coniugare libertà ed eguaglianza, diritti e democrazia è espressione di un’asfittica (in quanto di matrice esclusivamente occidentale) e oramai decadente pretesa del costituzionalismo o può tornare, anche nel mondo globalizzato, ad assumere pregnanza politica e legittimità culturale? Quale è la forza propulsiva di cui dispone oggi il «progetto costituzionale dell’uguaglianza» in Europa e nel resto del mondo?

A queste tematiche il libro dedica la sua parte centrale, ospitando un «confronto tra le esperienze costituzionali dell’Unione europea e dell’America Latina»: dalla vicenda costituzionale brasiliana, ricostruita da Marcelo Cattoni a partire dall’art. 3 della Carta che affida alla Repubblica federale il compito di «sradicare la povertà e l’emarginazione e ridurre le diseguaglianze sociali e regionali», al caso argentino alle prese con la «mutazione antiegualitaria» e la «secessione degli ultraricchi» (ricostruito da Isidoro Cheresky).

Il volume contiene, altresì, due pregevoli saggi di Pietro Costa e di Luigi Ferrajoli. Costa, dopo aver ricostruito i traguardi storici del principio di eguaglianza, si confronta con le drammatiche conseguenze prodotte dalla crisi economica sui diritti sociali, sulla crescita delle diseguaglianze e, più in generale, sulla tenuta degli assetti costituzionali. Sulla stessa scia, si colloca anche il contributo di Luigi Ferrajoli che vede nel principio di eguaglianza sociale il connotato fondamentale del costituzionalismo, l’asse di contatto che ha sempre legato e «lega le tre classiche parole della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité, rivelandosi così, allo stesso tempo, presupposto dei diritti di libertà e fondamento del principio di fratellanza (inteso soprattutto come solidarietà sociale).

Il significato rivoluzionario del motto dell’89 francese è però progressivamente deperito nel corso degli anni. Anche perché queste parole sono state, nel tempo recente, surrettiziamente utilizzate l’una contro l’altra dalle politiche liberiste e dalla travolgente avanzata della cultura delle destre. Gli esiti sono sotto i nostri occhi: compressione degli spazi democratici di libertà, esplosione delle disuguaglianze e delle aree di povertà, rigurgiti antisolidaristici con forti connotati razzisti e neofascisti.
A fronte di tale contesto, spetta pertanto alla sinistra tentare di stabilire un nuovo terreno di connessione tra questi principi, rifondandone coerentemente le istanze, salvaguardandone i valori, modulandone gli obiettivi. Dal perseguimento del «progetto costituzionale dell’uguaglianza» dipende anche il suo futuro.