«Il capitale ha la sua storia e i suoi storici la scrivono. Ma la storia della classe operaia chi la scriverà?». Questa domanda se la poneva tanti anni fa, era il gennaio del 1964, Mario Tronti all’interno di uno dei testi più famosi e importanti della stagione dell’operaismo italiano, Lenin in Inghilterra (Operai e capitale, DeriveApprodi). Di lì a poco sarebbe partita la grande stagione delle lotte, in Europa e nel mondo, un periodo che in Italia sarebbe durato circa un decennio, tanto da essere definito da qualcuno il lungo Sessantotto italiano.

Oggi quella stessa domanda si pone ancora una volta. O quanto meno se la pone, donandole una propria risposta, il Magister della letteratura italiana, Valerio Evangelisti. Il suo nuovo progetto narrativo, infatti, si presenta come una trilogia che, attraverso le vicende di una serie di personaggi appartenenti ad alcuni gruppi familiari romagnoli, i Verardi, i Menguzzi, i Giacomelli, segua il formarsi e l’imporsi sulla scena della storia del proletariato italiano. In particolare, almeno a giudicare dal primo romanzo uscito, del movimento operaio dell’Emilia Romagna. Si parte dal 1875 e si dovrebbe arrivare – «dipenderà dall’interesse dei lettori e dalle forze dell’autore» – fino agli anni Cinquanta del Novecento.

Tra garibaldini e mazziniani

Il primo volume si intitola Il sole dell’avvenire. Vivere lavorando o morire combattendo (Mondadori, pp. 530, euro 17,50) e arriva fino all’eccidio del 1898, quando Bava Beccaris fece prendere a cannonate a Milano la folla degli insorti, causando la morte di oltre ottanta persone e il ferimento di circa cinquecento, tra uomini e donne. Il libro è perfettamente leggibile a sé, risulta conchiuso nella sua struttura, anche perché l’autore non utilizza alcun espediente retorico o narrativo per stimolare la curiosità del lettore su cosa accadrà in seguito. È la forza, la potenza della storia, o meglio delle vicende narrate e la maestria della scrittura di Valerio Evangelisti a far sì che una volta chiuso il volume si senta l’esigenza di volerne ancora, ci si auguri fortemente che presto possa uscirne il seguito in libreria.

Il libro è diviso in tre sezioni, ognuna intitolata a uno dei protagonisti principali ovvero Attilio, detto Tilio, Verardi, la moglie Rosa Menguzzi e il loro figlio, Canzio. Si parte con le vicende legate al fidanzamento e al successivo matrimonio tra Attilio e Rosa, esponenti tipici di due gruppi sociali diversi anche politicamente. Lui è garibaldino, lei viene da una famiglia repubblicana fanatica di Mazzini. Lui, come la gran parte del proletariato romagnolo dell’epoca, svolge lavori saltuari e differenti, bracciante, manovale, carrettiere. I Menguzzi, invece, sono mezzadri. Attraverso le loro vicende e quelle di amici, conoscenti, parentiviene delineato il panorama sociale e politico dell’epoca e di quei territori. È il momento del tramonto della Prima Internazionale, i garibaldini sono rivoluzionari – è l’eroe dei due mondi che ha definito il socialismo il sole dell’avvenire – i repubblicani invece potremmo definirli riformisti. E poi ci sono ancora i vecchi internazionalisti, gli anarchici, i socialisti. Nel 1881, Andrea Costa fonda il Partito Socialista Rivoluzionario e, primo socialista, viene eletto in Parlamento. Si pone in atto la tattica dell’alleanza tra socialisti e repubblicani per conquistare elettoralmente i Comuni. Si formano cooperative a cui saranno appaltati i lavori di arginatura dei corsi d’acqua romagnoli e non solo. I lavoratori della Romagna, infatti, andranno a bonificare l’Agro romano e poi addirittura in Grecia. Ci sono le lotte, con le loro vittorie e le loro sconfitte, le insurrezioni, i momenti di esplosione della creatività proletaria che si fa beffe di sbirri e padroni. C’è poi la guerra, quella tra Greci e Turchi a cui parteciperà un contingente di volontari guidati dal figlio di Garibaldi, Menotti. E ancora le modificazioni dei rapporti di lavoro in agricoltura, col declino della mezzadria e i tentativi di modernizzazione capitalistica.

È inutile cercare qui la figura dell’operario di fabbrica. I protagonisti sono tutti braccianti, manovali, mondine, carrettieri e poi sarti, fabbri, piccoli artigiani, carrettieri, tipografi, addirittura portieri d’albergo e commercianti di cereali. L’operaio farà sentire la sua presenza soltanto verso la fine del libro, una presenza evocata più che reale. Si intravvede, infatti, nella nuova linea politica, evoluzionista più che rivoluzionaria, portata avanti dal socialismo operaio milanese di Filippo Turati.

Siamo, dunque, agli albori della storia del movimento operaio italiano. E la materia scelta o, meglio, il luogo, l’ambiente, la situazione analizzata non è nemmeno quella della formazione della grande fabbriche. Certo anche in Romagna si assiste a quei movimenti dalla campagna alla città che hanno caratterizzato il periodo, ma manca, in questo primo libro, il processo di formazione della classe operaia industriale. C’è però una vivacità politica, una ricerca di attenzione alle istanze provenienti dal basso che rendono la scelta di Evangelisti congrua e funzionale. È probabilmente proprio qui, in questa sorta di brodo di coltura che è giusto andare a ritrovare l’origine dell’anima più sanguigna e rivoluzionaria del proletariato italiano. E, purtroppo, non solo. Compare infatti nel libro anche una figura di vero compagno, tipico romagnolo duro e leale, che non per sua colpa sarà all’origine di ben altro. Si tratta di un fabbro, tale Andrea Mussolini, padre di quel Benito che senza dubbio rivestirà un ruolo importante nel resto della saga.

Un felice ritorno al passato

Epopea senza retorica, affresco secco e tagliente di un’origine, Il sole dell’avvenire sembra rappresentare all’interno del percorso letterario di Valerio Evangelisti sia un punto di arrivo che un ritorno al passato. Un punto d’arrivo perchè da un lato porta a compimento quel lavoro da sempre svolto dallo scrittore, incentrato sull’abbattimento dei confini che tendono a relegare la letteratura di genere in un ambito di puro intrattenimento e di sudditanza nei confronti della narrativa cosiddetta alta. Qui Evangelisti, non solo nella scrittura ma anche nella struttura del romanzo è al suo massimo, riuscendo ad avvincere il lettore come e più del suo miglior libro dedicato all’inquisitore Eymerich.

D’altro canto la storia del movimento proletario romagnolo sembra davvero il vertice di un percorso che partendo dalle eresie medievali ha poi attraversato il capitalismo selvaggio prefigurato dalla pirateria, le rivolte operaie americane, l’esperienza degli Iww, la rivoluzione messicana, non disdegnando nemmeno una puntata sul Risorgimento italiano. Ma Il sole dell’avvenire appare anche come un ritorno al passato in quanto tratta lo stesso argomento affrontato come tesi di laurea dall’autore e che fu all’origine di un altro testo – un vero e proprio saggio storico – che vedeva montate insieme la sua e la tesi di Emanuela Zucchini. Libro, quest’ultimo, intitolato Storia del Partito Socialista Rivoluzionario 1881-1893, di recente riproposto da Odoya (Bologna, euro 20) e che rappresenta un’ottima introduzione e un eccellente approfondimento degli avvenimenti e dei temi affrontati nel romanzo.