Gedeone e Almerina sono due cantastorie, i loro racconti si nutrono di una memoria condivisa, di aneddoti familiari, di personaggi popolari tramandati negli anni riconoscibili a tutti eppure chi li ascolta riesce ancora stupirsi. È il «come» quell’uomo e quella ragazzina scatenata narrano non il «cosa» – altroché spoiler – , può capitare che qualcuno ci aggiunga una parola, una variazione, l’incanto funziona sempre. Così quando per sfuggire a una tempesta si rifugiano in una grotta, e si trovano davanti un anziano orso, iniziano la loro storia. «C’era una volta in Sicilia…».

PRESENTATO a Cannes nella selezione di Un Certain Regard, e vincitore pochi giorni fa del premio alla miglior regia di Alice nella città 2019, La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti è per l’artista, illustratore e fumettista il bell’esordio – dedicato a Carlo Mazzacurati – alla regia anche se in passato si è confrontato più volte col cinema, collaborando al Pinocchio di Enzo D’Alò, e al film collettivo Eros.
La famosa invasione degli orsi in Sicilia parte dal racconto omonimo di Dino Buzzati pubblicato sul «Corriere dei Piccoli» a puntate nel 1945, una fiaba fuori dal tempo, apologo sulla convivenza tra culture diverse come fonte di ricchezza e sul potere che acceca e divora qualsiasi ipotesi di felicità alla cui «traduzione» nelle immagini, e nel proprio universo poetico, Mattotti ha lavorato per cinque anni: «Il processo per dare fluidità nella narrazione è stato molto lungo. Ci sono stati momenti duri, perché avevamo l’impressione che il racconto fosse molto lento. C’erano tanti dialoghi. Io avevo il terrore dei dialoghi. Dall’altro lato, c’era anche la bellezza di trovare un ritmo tra la contemplazione e la storia, la narrazione», ha raccontato il regista.

L’INVASIONE del titolo immagina un regno governato da un crudele tiranno con al suo servizio un mago, dove arrivano gli orsi delle montagne: sono buoni, ingenui, semplici, non lo fanno per conquista ma per ritrovare il piccolo Tonio, rapito dagli uomini, figlio del sovrano, il buon re Leonzio. E però: è andata davvero così? O il finale è un altro, e il lieto fine dei due cantastorie, padre e figlia – come dice Almerina – serve per mandare a casa tutti contenti?

L’ORSO ne rivela un altro, un po’ diverso, forse un po’ più malinconico, come fa a conoscerlo? «Buzzati mi ha influenzato sempre in tutto il mio lavoro: la sua atmosfera, il suo modo di lavorare con le metafore, le fiabe, la fantasia e il mistero, come se si trattasse di leggende, di storie antiche» dice Mattotti, che col suo tratto ha ricreato questo universo fantastico, davanti al mare e tra i boschi, con gli orsi «parlano» come gli uomini e sembrano avere una saggezza, almeno Leonzio, ancora più antica, non conoscono la malizia, le ambizioni, l’avidità.

Mattotti che ha scritto la sceneggiatura insieme a Thomas Bidegain e Jean-Luc Fromental («Abbiamo fatto un grosso lavoro di riscrittura. D’altra parte, vivevo con angoscia il rischio di perdere contatto con l’originale di Buzzati. Alla fine credo che siamo riusciti a tradirlo bene») restituisce l’utopia della favola nel tratto magnifico dei suoi disegni, di visionarie coreografie, mostri marini, numeri di circo, castelli a metà fra l’animale e l’umano, incantesimi senza trucchi che volteggiano sullo schermo nel flusso della colonna sonora di René Aubry.

«Non so perché ma il libro di Buzzati è una specie di scatola magica, piena di idee dappertutto. Piena di amore per il racconto per bambini e per il gusto stesso del raccontare». Come i due cantastorie Mattotti ci porta nel regno fantastico delle storie attraverso le immagini che dalle parole prendono origine – le voci nella versione italiana sono, tra gli altri, di Antonio Albanese, Toni Servillo e Andrea Camilleri – liberando il loro potere fantastico, la potenza di una narrazione che può ricreare il mondo per insegnarci qualcosa e farcelo scoprire diverso.