Code allo svincolo per Saxa Rubra, parcheggio in tilt, al Gran Teatro di Roma una folla del genere si è vista giusto per i megaconcerti di Mengoni e Skunk Anansie. Invece martedì sera 2500 persone sono andate a festeggiare e a finanziare a mezzo cena la rentrée alla politica attiva di Goffredo Bettini, che si candida all’europarlamento dopo quattro anni di autoesilio, eccezion fatta – si fa per dire – per la campagna di Zingaretti alla regione Lazio e quella di Marino al Campidoglio. Già padre fondatore del Pd, regista delle giunte Rutelli e Veltroni, inventore del ‘Modello Roma’, tessitore infaticabile di ‘ponti’ fra rive destre e sinistre (antica la sua frequentazione di Gianni Letta, cordialità con mezzo mondo palazzinaro, «politica e imprenditoria debbono avere rapporti da potenza a potenza», spiegò paziente al cronista che pignolava sulle sue amicizie pericolose); ingraiano ancora devoto: ha da poco pubblicato un carteggio con l’antico maestro.

Dunque martedì sera, 200 tavoli, sottoscrizione libera, quindi aperta ai tanti ‘compagni’ della base. Ma anche a manager e imprenditori (c’era l’anziano Parnasi, patriarca di Parsitalia, l’impresa che vuole costruire il nuovo stadio della Roma, ma anche Toti, Mondello e Cesare San Mauro, il presidente della Confcommercio Roscioli, quello della Cna Tagliavanti, e di Confartigianato Mannocchi, dirigenti di Confagricoltura), politici (Zingaretti e Marino, e poi il capofila dei lettiani romani Di Stefano, Veltroni è a New York per Pasqua ma c’era il suo sodale Roberto Morassut, il viceministro Gozi, l’ex berlusconiano Michele Baldi, Rutelli, Sassoli), giornalisti (Barbara Palombelli, amica di famiglia, Minoli, Oliviero Beha), artisti venuti a salutare l’inventore della Festa del Cinema (i giovani Davide Jacopini, Giorgio Colangeli, Carolina Crescentini, Paola Minaccioni, ma anche Scola, Massimo Ghini, Maria Rosaria Omaggio, Atina Cenci e l’anziano Gianluigi Rondi). Ressa d’altri tempi, 40 tavoli cancellati per overbooking: riempito il foyer, inzeppato il palco, non c’era più spazio.

«Bettini è il valore aggiunto della nostra comunità, la persona che più ha contribuito a promuovere valori e etica, con umiltà e senso del limite», lo ha presentato Zingaretti, a sua volta annunciato (e canzonato) da Johnny Palomba. E Bettini, dopo un omaggio all’amico Gianni Borgna, critico musicale e politico scomparso di recente, e al fondatore dell’Europa Altiero Spinelli (un brano del Manifesto di Ventotene letto da Pippo del Bono) ha enunciato i punti della sua corsa. Europei, ma anche molto italiani: «Dio solo sa quanto ha fatto bene Renzi a svecchiare la politica. E quanto fa bene ad insospettirsi verso tutto il vecchio che si vuole trasformare in nuovo»; «patti, accordi, tradimenti e trasformismi. Un mondo artificiale che non interessa più nessuna persona normale»; ma la sua candidatura non sarà, assicura, «la conta per correnti interne. Che non ho».

E però tanta folla, che lui definisce «un sostegno sobrio, diffuso, come si addice ai tempi», non transuma a nord di Roma solo per un tributo d’affetto verso l’area ‘campo democratico’, trasversale nel Pd e tuttavia core business del renzismo della Capitale (che nel frattempo si è già spaccato in tre correnti, per non smentire la tradizione locale). E se Bettini nega ticket con altri candidati e invita a votare anche la capolista Simona Bonafé, la suddetta, abbagliata da tanto mondo, alla fine del discorso gli si fionda accanto e tenta di imbullonare un accordo: «Va bene, non vuoi ticket, ma parliamone».

Non sarà «una conta», giura lui, smarcandosi dalle beghe romane. Ma sul voto europeo il tormentato Pd aborigeno gioca una partita sua, dentro una selva lacandona intricata di correnti e subcorrenti che si misura sul tasso di lontananza dal sindaco. Gli ex ppi e un rivolo della sinistra puntano sull’evergreen Enrico Gasbarra, che i moderati bipartisan avrebbero voluto al posto di Marino; e che di nuovo qualcuno guarda con interesse, con la giunta terremotata (di ieri le dimissioni dell’assessora al bilancio Daniela Morgante). Non sarà un caso che l’altra sera la famiglia Caltagirone, che pure in passato ha intrattenuto buoni rapporti con Bettini, brillava per assenza. E che il giornale della casa, il Messaggero, ormai il più formidabile sostenitore di Renzi, è dall’inizio il più implacabile critico di Marino: «Siamo indipendenti, ora stiamo all’opposizione e paghiamo un prezzo altissimo», ha detto ieri il patron del giornale. L’imprenditore non avrebbe perdonato a Bettini l’appoggio al sindaco. Un sindaco che «ha trovato una situazione melmosa, oscura, disastrosa» e che «ha smosso incrostazioni e compromessi», ha riconosciuto Bettini. Chiedendogli però, affettuosamente, di «allargare le forze in campo». Mettendolo per l’ennesima volta in guardia dal pericolo dell’isolamento.