La raccolta di versi Epifonemi dell’agosto 1983 a Giulianova (pp. 36, euro 10), di Roberto Roversi, pubblicata dalle Edizioni Le Farfalle di Angelo Scandurra, rappresenta anzitutto l’esito di un incontro fra due anime nobili e per più di un aspetto simili: quella di Roversi e quella di Scandurra. Roversi, che era nato nel 1923 ed è morto nel 2012, è stato non solo un grande poeta – dei cui versi i critici sottolineavano il valore sia estetico che civile, di «possibile resistenza» contro l’«ipocrisia di fondo del mondo contemporaneo» e contro l’«involuzione politica del Paese negli anni successivi alla lotta partigiana» (come testimoniano ad esempio questi versi di «Dopo Campoformio», del 1962: «Mai anni peggiori/ di questi che noi viviamo,/ né stagione più vile/ coprì di rossore l’asciutta fronte italiana … e resta poca gente, sola,/ a vegliare con gli occhi asciutti e a ricordare») – ma è stato anche un grande promotore di cultura, per quanto schivo e laterale fosse il suo stare al mondo.

NEL 1955, insieme a Francesco Leonetti e a Pasolini, aveva fondato la rivista letteraria «Officina»; aveva collaborato con il «Menabò» di Calvino e Vittorini; nel 1961 aveva fondato, in questo caso da solo, anche la rivista «Rendiconti». Negli anni settanta aveva scritto i testi di molte canzoni di Lucio Dalla. Pubblicava le sue cose senza mai smania di apparire. Nel 1949 aveva aperto una libreria antiquaria, la Palmaverde, alla quale era annessa una piccola casa editrice; ed è da qui, da questo riposto angolo di mondo, che partecipava senza sosta ai dibattiti culturali del suo tempo. Non meno schivo è Angelo Scandurra, il cui angolo di mondo è il paese di Valverde, appena fuori da Catania, di cui peraltro fra la metà degli anni Novanta e i primi del 2000 è stato sindaco (e forse la presenza comune del «verde» nel nome dei luoghi, Palmaverde e Valverde, è una di quelle coincidenze che esprimono un destino recondito). Anche Scandurra è un grande poeta, in primo luogo (basterebbe leggere la sua Quadreria dei poeti passanti, pubblicata da Bompiani nel 2009), e anche lui, come Roversi, è un instancabile promotore di cultura al centro di un mondo, nonostante la sua refrattarietà a farne parte.

PRIMA DELLE FARFALLE, nel 1986 aveva fondato le Edizioni del Girasole: le une come le altre contraddistinte dalla raffinatezza quasi antica della fattura e dall’autorevolezza del catalogo, nel quale sono presenti autori quali Rigoni Stern, Sciascia, Consolo, Sgalambro, Scabia. Lo stesso Roversi era già presente nei cataloghi, e vi torna ora con questi Epifonemi, inediti. Il risvolto di copertina, firmato da Antonio Bagnoli (che di Roversi è nipote), ne spiega la storia: «Questa raccolta, datata 1983, è stata scritta nel luogo in cui Roversi e sua moglie Elena erano soliti passare le vacanze estive, vicini alla famiglia di lei; e venne riposta – con altri materiali – in un angolo della Palmaverde. Nel 2006, quando la libreria fu venduta, questo (e altro) mi fu consegnato da lui, perché ne ‘disponessi liberamente’ in futuro».
Si tratta di poche preziose poesie, ventotto, rispetto alle quali il titolo è molto preciso quanto alla loro collocazione nello spazio e nel tempo (Giulianova, in Abruzzo, 1983) e forse invece solo provocatorio nella loro qualificazione come «epifonemi»: perché se l’epifonema è una figura retorica assimilabile alla massima, alla sentenza assertiva, nessun tono assertivo e definitivo sembra ravvisabile qui. Piuttosto, se un tratto generale può essere individuato nelle ventotto poesie della raccolta, è in un tono esattamente contrario: in una presa d’atto delle contraddizioni del mondo, delle manchevolezze della vita, dei cedimenti e dalla transitorietà delle cose, in ultima analisi della difficoltà di vivere, nel suo mescolare «grazia» e «malinconia».
Ecco, «grazia» e «malinconia» sono il tratto di queste poesie, più esistenziali che civili, rappresentato in termini anche figurativi dalla bellissima acquaforte del maestro Sandro Bracchitta che accompagna le prime settanta copie del libro: una casa rossa, affiancata dallo scheletro di un albero, fluttuante e vacillante sullo sfondo blu di una notte che la contiene.