La possibile alleanza con Emiliano per la gassificazione e una nuova Aia
Ilva Con Calenda fuorigioco la trattativa diventa locale e mette pressione agli indiani: via al vincolo dei 10mila?
Ilva Con Calenda fuorigioco la trattativa diventa locale e mette pressione agli indiani: via al vincolo dei 10mila?
Con l’incontro di ieri fra il gruppo di eletti locali e nazionali del M5s e i sindacati si è aperta senza alcun dubbio una nuova pagina nella lunga e tormentata vicenda Ilva.
Reazioni isteriche del ministro uscente Carlo Calenda a parte – che ha spacciato su twitter la fakenews della volontà del M5s di chiudere l’acciaieria di Taranto – il nuovo scenario vede prima di tutto un cambio di paradigma. Se fino a ieri era l’elemento globale a dominare, ora è l’aspetto locale e tarantino ad essere al centro della – comunque complessa – vertenza. L’antitrust Europeo, la produzione di acciaio nel mondo, i miliardi di investimenti hanno lasciato il passo all’«ascolto» di chi vive a Taranto e di chi lavora all’Ilva.
E in questo quadro si staglia se non l’alleanza, almeno la consonanza di visione tra il M5s e il presidente della regione Puglia Michele Emiliano.
Grande avversario e reciprocamente nemico del compagno di partito Carlo Calenda, Emiliano da anni ha sposato l’idea della gassificazione dell’Ilva. Ai tempi dello scontro fra cordate per l’aggiudicazione del gruppo sottratto dalla magistratura alla famiglia Riva, Emiliano ha sempre fatto il tifo in modo esplicito per Jindal, capofila di AcciaItalia, cordata di cui faceva parte anche Cassa depositi e prestiti, l’unica componente pubblica in mezzo ai gruppi privati, dominati in entrambi i casi da giganti indiani.
Ora, contratto di governo M5s-Lega alla mano, il ruolo dello stato torna predominante e la partita della vendita si riapre completamente.
Nessuno, nemmeno i sindacati, hanno interpretato le parole di Fioramonti, professore di economia e designato al ministero dello sviluppo nella squadra pre-elezioni di Di Maio, come volontà di chiudere l’Ilva. L’espressione «riconversione» lascia però spazio alle più diverse interpretazioni. «Nessuno di noi è affezionato all’Ilva di oggi piena di amianto e inquinamento con morti sul lavoro sempre più frequenti, noi siamo aperti a qualsiasi soluzione che contempli però livelli occupazionali pieni», spiega Antonio Talò, segretario Uilm a Taranto, dove il suo sindacato è il primo «ed è il più realista».
La possibile saldatura con le idee già esposte da Michele Emiliano è dunque oggi lo sbocco più probabile della vertenza. Le posizioni dell’istrionico presidente della Puglia non sono certo il massimo della coerenza e del realismo – per esempio la gassificazione senza la Tap è un controsenso – , l’accusa di essere un masianello è in gran parte motivata, ma anche il M5s avrebbe tutto l’interesse ad avere un alleato istituzionale.
Come in tutte le vertenze la variabile tempo è decisiva e condiziona il comportamento degli attori in gioco. Mittal il 30 giugno potrebbe – secondo il contratto firmato con Calenda – diventare «padrone», assumere solo 10mila lavoratori su 14mila e dopo due anni scendere a 8.500.
In realtà le sue mosse dell’ultima settimana portano a pensare che non voglia farlo. Rifiutata dai sindacati la proposta Calenda che lasciava comunque 2.500 esuberi, gli indiani hanno invitato a Roma Fim, Fiom, Uilm per riaprire il dialogo. Un nuovo incontro è previsto a breve e i sindacati sono persuasi che una svolta sui numeri sia possibile. «Mittal avrebbe tutto l’interesse a trovare un accordo con noi prima dell’insediamento del nuovo governo», osserva Rosario Rappa, segretario nazionale della Fiom, «ma in questi mesi non ha mai mutato le sue posizioni e se non lo farà, l’accordo non si farà mai». Sia Rappa che Talò concordano sul fatto che per gli indiani andare avanti senza l’accordo con noi sindacati sarebbe irrealistico: «Rischierebbero di durare molto poco a Taranto e anche a Genova», dicono entrambi.
La partita rimane assai complicata. La prospettiva di una nazionalizzazione comporterebbe la necessità di un nuovo decreto, ma sarebbe l’occasione per fissare una Autorizzazione integrata ambientale più stringente rispetto a quelle varate dai governi del Pd considerate ormai dai più come veri «condoni per inquinare».
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