Su 1.760 marinai, 1.046 sono stati contagiati dal Covid-19 a bordo della portaerei nucleare Charles-de-Gaulle, il fiore all’occhiello della Marina francese e della dissuasione. Il numero dei contagiati sale a 1.081, se si aggiungono i marinai delle fregate che hanno accompagnato la Charles-de-Gaulle nell’ultimo viaggio, nell’Atlantico Nord, interrotto con dieci giorni di anticipo sul previsto con il rientro forzato alla base di Tolone il 13 aprile scorso, su decisione della ministra della Difesa, Florence Parly.

La Charles-de-Gaulle era partita da Tolone il 21 gennaio, per la prima operazione dopo due anni di blocco per ragioni tecniche e lavori di modernizzazione che sono costati un miliardo di euro. L’informazione ha fatto l’effetto di una bomba. Solo gli Usa hanno una portaerei analoga, la Theodore-Roosevelt, anch’essa si è rivelata un cluster del Covid-19, ma il suo comandante, che avrebbe voluto interrompere l’operazione in corso, è stato dimesso. In Francia è successo il contrario, i comandi della Marina hanno prima minimizzato con i marinai, poi cercato di nascondere l’informazione.

Florence Parly si è difesa di fronte alla Commissione d’inchiesta dell’Assemblée nationale, venerdì: «Ho preso una decisione immediata e radicale» di far rientrare la nave appena avuta l’informazione. Ieri, il portavoce della Marina si è giustificato: «Capisco chi è inquieto, e che può anche essere in collera, ma non posso lasciar dire che saremo negligenti sulla salute dei nostri marinai». Sui 1.081 contagiati, la metà è asintomatica, mentre 24 sono in ospedale, 8 in ossigenoterapia e un ufficiale di 50 anni in rianimazione. Due inchieste sono state aperte sul caso.

Adesso non è chiaro se la Charles-de-Gaulle potrà partecipare alla prevista operazione internazionale Chammal, nel Mediterraneo orientale, contro l’Isis. Agli alti comandi della Marina non hanno dubbi: «Se scoppia la guerra domani e il presidente vuole la portaerei- ha detto un ufficiale – riprenderemo tutti, malati o meno, e la nave ripartirà».

Questo episodio mette in luce lo stato di difficoltà in cui versa il servizio sanitario militare francese. Due rapporti, nel 2013 e nel 2018, avevano lanciato l’allarme e con la pandemia, l’esercito è stato praticamente assente. A parte un ospedale militare di campagna, montato nella seconda metà di marzo in un parking a Mulhouse, uno dei primi cluster francesi, ma con una potenzialità di soli 30 letti (e già smantellato ieri).

Emmanuel Macron ha affiancato un’operazione Resilience a Sentinelle (ronde militari dopo gli attentati islamisti del 2015), ma la presenza di soldati nelle strade è (per fortuna) impercettibile. E il servizio sanitario militare non è stato in grado di coadiuvare gli ospedali messi in difficoltà dalla pandemia. È facile prevedere che, finita la crisi, anche sul fronte della potenza militare si aprirà una polemica feroce.