I contenuti del patto siglato da Renzi e Berlusconi ci consegnano una legge pasticciata e incompatibile con gran parte delle indicazioni della Corte Costituzionale. Contraddicendo lo stesso modello spagnolo, al quale dichiara di ispirarsi, l’ipotesi illustrata dal segretario del Pd prevede l’introduzione di un premio di maggioranza. Una soluzione che la Corte non considera ex se illegittima, a condizione però che la legge stabilisca una soglia minima di scatto e che il relativo meccanismo premiale non sia «foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa … tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto». Una condizione che la legge oggi in gestazione accoglie sì, ma solo in parte non esitando a stabilire un esorbitante premio di maggioranza (18%) pur a fronte di una soglia del 35%.

Una percentuale, quest’ultima, che Forza Italia e Pd (stando anche agli ultimi sondaggi) potrebbero agevolmente superare… coalizzandosi. Ma dal momento che queste due formazioni più che allearsi avrebbero intenzione di competere, ecco allora che, in soccorso del bipolarismo italiano, interviene il doppio turno.

Di qui il delinearsi di un sistema sgangherato che annienta le minoranze, travolge le forze politiche non schierate pur se di notevoli dimensioni (la previsione di una soglia di sbarramento dell’8% è qualcosa che grida vendetta) e che, in definitiva, appare incapace persino di instaurare un maturo e stabile bipolarismo tra centro-destra e centro sinistra (il sospetto di aver confezionato un sistema su misura rischia di favorire elettoralmente il terzo polo e non di dissolverlo).

Il nuovo sistema elettorale che dovrebbe condurre il paese verso la modernità e la democrazia compiuta, si presenta così ai nostri occhi come una sbiadita e stantia riproposizione delle vecchie ricette del maggioritario all’italiana. Le istanze politiche che ne sono alla base sono le stesse che hanno in questi anni avvelenato le dinamiche politiche, coartato le pratiche democratiche, avvilito la partecipazione sociale: premi di maggioranza esorbitanti, iniezione di anabolizzanti bipolari, disprezzo per le minoranze politiche.
Eppure sui meccanismi elettorali la sentenza della Corte Costituzionale era stata chiara: il legislatore – ammoniva – deve limitarsi ad «agevolare» la formazione delle maggioranze di governo, ma non può imporle, perché ciò produrrebbe una «eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica e… la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto».

Una volontà tradita e destinata ad essere, ancora una volta, coartata dalla sopravvivenza delle liste bloccate. Soluzione anche questa in contrasto con la decisione della Corte che ha dichiarato espressamente illegittime quelle disposizioni della legge Calderoli che «non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati, al fine di determinarne l’elezione». Un vulnus che neppure la supposta conoscibilità dei candidati in liste brevi può in alcun modo sanare, perché ciò che l’ordinamento deve garantire non è solo «l’effettiva conoscibilità dei candidati», ma «con essa l’effettività della scelta e la libertà di voto». Diversamente «la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno dell’indicazione personale dei cittadini … ferisce la logica della rappresentanza consegnata dalla Costituzione».

Ai cittadini non resterà allora altra soddisfazione che apprendere (ma nemmeno questo è certo) il nome del presidente del Consiglio «la sera stessa delle elezioni». Avremmo così posto fine ai tormenti degli elettori italiani, debellando con un sol colpo la grave patologia ansiogena della quale in questi anni saremmo stati tutti vittima. Una patologia singolare, tutta italica, che non ha riscontri in nessun’altra democrazia parlamentare europea (dalla Germania al Regno Unito), ma che ciononostante deve essere assolutamente debellata. Anche a costo di sacrificare talune istanze fondative della democrazia rappresentativa e della stessa Costituzione.
Ci si augura solo che i parlamentari lo abbiano ben presente quando si appresteranno a scrivere la nuova legge elettorale. E si ricordino pure che la porta della Consulta è stata aperta e continuerà ad esserlo anche nei prossimi anni.