Un direttore che lavorava con la porta aperta. È questo il profilo di Candido Cannavò, storico direttore della Gazzetta dello Sport, alla guida della Rosea per diciannove anni, ricordato dall’Uisp nazionale e dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia nel convegno «Comunicare lo sport attraverso il sociale» svoltosi a Milano a Palazzo Marino. Per anni Candido Cannavò è stato corrispondente da Catania del quotidiano sportivo di via Solferino , mentre lavorava al giornale La Sicilia, dove scriveva di sport e di problemi sociali, e teneva un filo diretto con i catanesi, attraverso la rubrica «Parliamone insieme» la pagina quotidiana delle lettere. Quando i suoi concittadini si arrabbiavano perché l’ospedale non funzionava, le strade erano dissestate, i trasporti pubblici carenti, a Catania scattava puntuale la minaccia, proferita con orgoglio: «Scrivo a Cannavò».
A scrivere a Candido Cannavò fu un giovane burlone, redattore del quotidiano, che raccontò di una madre che entrando in casa aveva visto dalla porta socchiusa la figlia nuda insieme a una sua amica e in mezzo a loro un ragazzo, tutti distesi sul letto, ma aveva deciso di tornare sui suoi passi in punta di piedi e uscire di casa. A Catania scoppiò il putiferio, il dibattito si accese, i partiti di destra e di sinistra si contesero la disputa, e perfino il vescovo disse la sua.
Dopo le olimpiadi di Mosca del 1980, dove Candido Cannavò fu inviato speciale per il quotidiano siciliano e per quello sportivo, Gino Palumbo lo chiamò a Milano alla vicedirezione della Gazzetta nel 1981 e nel 1983 gli affidò la direzione. Candido Cannavò rese la Gazzetta dello Sport il più diffuso quotidiano sportivo d’Europa nei suoi circa venti anni di guida.
Gianni Mura, firma storica e tra le più brillanti del giornalismo sportivo italiano, lo ricorda così: «I direttori si dividono tra quelli che tengono la porta aperta e quelli che la tengono chiusa. Cannavò la teneva aperta, un dettaglio non da poco, significava che era aperto a qualsiasi esigenza della redazione. La porta aperta va a braccetto con la mente e il cuore aperto di Candido Cannavò, scrisse un libro sui preti di strada come don Gallo, don Rigoldi e altri, quelli irregolari, aperti verso i deboli, che chiamava i miei pretacci. Negli articoli sapeva raccontare l’atleta, cioè lo sport, e il suo lato umano».
In occasione del decennale della morte di Candido Cannavò, la casa editrice Solferino ha pubblicato una raccolta dei suoi più importanti articoli Storia sentimentale dello sport italiano, dove si coglie lo stile elegante, per nulla retorico, che pur «la chiacchiera sportiva», come la definiva Umberto Eco, legittimerebbe, e soprattutto l’infinita curiosità che animava lo spirito di Candido Cannavò. Sulle pagine della Gazzetta dello Sport, aveva condotto battaglie coraggiose contro il doping, a favore dei disabili nello sport e in particolare si era battuto per la parità di genere, come ha ricordato Franco Arturi suo braccio destro e oggi alla guida della Fondazione Cannavò. Quando la squadra di calcio della sua città si macchiò di illecito amministrativo, scrisse con coraggio sulla Gazzetta che la retrocessione del Catania era giusta. A seguito di quel giudizio imparziale, Candido Cannavò fu minacciato di morte e per anni non gli permisero di mettere piede nella sua città natale. Dopo la sua morte, il comune di Catania gli ha dedicato un largo, la cui targa viene puntualmente imbrattata ogni anno in occasione dell’anniversario della morte.
Dopo aver la sciato la direzione della Gazzetta dello Sport, Candido Cannavò si dedicò per anni al carcere di Milano San Vittore, dove aveva un ufficio. Era talmente preso dal suo impegno quotidiano che per ben due volte vi rimase chiuso, non rispettando l’orario di uscita, ma non si scompose e dormì dentro l’ufficio. In pochi sanno che utilizzò tutte le sue conoscenze e i rapporti con le istituzioni milanesi, che aveva tessuto nel corso dei due decenni di direzione del quotidiano sportivo, perché fosse aperto un asilo dentro il carcere di San Vittore, bubbone nel centro della città (da anni la speculazione edilizia tenta di mandare via i detenuti per trasformarlo in eleganti appartamenti da vendere a peso d’oro), per i bambini sotto i tre anni, affinché non passassero tutto il tempo chiusi in una piccola cella, ma con le loro mamme potessero frequentare l’asilo, come gli altri bambini. Era molto attento all’infanzia, lui che l’aveva trascorsa sotto le bombe della guerra, quando gli americani bombardarono Catania, e alla direzione della Gazzetta dello Sport non mancò di denunciare il vergognoso sfruttamento minorile in Pakistan e India da parte delle multinazionali del pallone.
Nella penna di Candido Cannavò, non mancava mai l’attenzione all’umano, che andava di pari passo con lo sport raccontato con stile. In tempi in cui nella cronaca sportiva giornalistica esonda il superfluo e il chiasso delle telecronache diventa sempre più assordante, anche a noi viene voglia di minacciare: «Scriviamo a Cannavò».