Uscito dalle preoccupazioni degli anni della crisi, in cui però ha prosperato, il fashion system si trova ora a fare i conti con una realtà mutata i cui primi effetti si sono fatti sentire nei risultati dei primi tre mesi di quest’anno, con qualche diminuzione dei ricavi dovuta al cambio euro/dollaro che è favorevole all’esportazione ma riduce l’introito. Gli economisti, la cui vera vocazione è quella di correre al capezzale degli ammalati anche quando non sono richiesti, si stanno affannando a enumerare i rischi della Luxury Industry, come loro chiamano l’industria della moda, confondendo una parte per il tutto e il costo per il valore.

 

 

Tra gli economisti più attivi, Luca Solchi, il capo dei Luxury Goods di Exane BNP Paribas, ha stilato un elenco di dieci punti in cui fa rientrare fattori che riguardano i consumatori e le politiche degli Stati. Per esempio, Solchi mette in guardia da un rallentamento congiunturale dovuto ai costi fissi del settore (comunicazione, personale, negozi, campionari), da una minore disponibilità alla spesa soprattutto dei consumatori che vivono nell’area Euro, ancora alle prese con varie austerità, ma anche da un diverso approccio del mercato cinese, dove sono scesi i prezzi degli immobili e, quindi, chi può compra una casa e risparmia sulle spese più voluttuarie.

 

 

Dall’elenco non manca l’aumentata fluttuazione tra le valute, lo shifting delle aliquote fiscali (la Cina potrebbe aumentare le tasse per il lusso) e perfino la paura di viaggiare a causa di attentati terroristici potrebbe far diminuire le rendite legate alle vendite dei paradisi turistici.
Un grande rischio è anche la sovraesposizione perché, scrive Solchi, i «marchi che crescono troppo in fretta e si espandono troppo ampiamente corrono il rischio della banalizzazione che arriva attraverso la loro popolarità», cioè perdono quell’esclusività che è decisiva per chi compra abiti e accessori che costano migliaia di euro. Ma c’è anche un rischio che Solchi non avverte, e cioè che la moda si affidi troppo agli economisti-bancari.

 
A proposito di sovraesposizione, invece, va notato che, ultimamente e soprattutto in Italia, in qualche intervista alcuni fashion designer si sono lasciati andare a dichiarazioni sul concetto di famiglia e sugli stili di vita altrui così tanto umorali e poco autorevoli che sono state bollate come discriminatorie da buona parte del resto del mondo. Non che uno stilista possa parlare solo di moda, ma gli stilisti dei nostri anni, così esposti a una comunicazione mediatica che non bada a risparmiare mezzi per vendere una copia di giornale cartaceo in più o per aumentare di qualche milione le pagine viste sul proprio sito, oltre che a gestire meglio le proprie dichiarazioni dovrebbero attenersi alla regola d’oro di Yves Saint Laurent.

 

 

Lui, che la società la cambiava attraverso i propri vestiti, non ha mai rilasciato dichiarazioni né sulle idee altrui né sui modelli di vita diversi dai suoi. Quando non parlava di moda, si permetteva, però, di parlare della Recherche di Marcel Proust, ma solo perché era titolato a farlo. Infatti, era uno tra i maggiori studiosi proustiani.
manifashion.ciavarella@gmail.com