Monica Ferrando: «Pare che ora il vero rischio sia l’impopolarità. Nelle università americane popolarità è criterio di valutazione. Anche nella rete. E’ un criterio giusto? L’ateniese Focione quando in troppi lo applaudivano dopo un discorso, si sentiva in errore. Poi la città lo condannò.

L’outsider Poussin gli dedicò due capolavori: Funerale e Seppellimento delle ceneri, avvenuti ad Atene ma di nascosto.

La tua costante insistenza, Sarantis, sul vizio di calcolare che dirige le scelte e riduce i desideri a bisogni, individua nella previsione degli effetti la vera piaga di una comunicazione senza eros.

La conoscenza scientifica si fa modello globale di espressione. La formula collaudata al posto della parola libera e spiazzante o il suo opposto funzionale, lo spettacolo narcisistico: vero arbitro è il gusto.

Ma il libero arbitrio è un ostacolo ‘reazionario’ da sostituire con l’ubbidienza ai dati statistici, perché la scelta è ammessa solo se calcolata. Come la “virtù”.

Scrive Marc Bloch: “Hitler diceva un giorno a Rauschning: abbiamo ragione di speculare più sui vizi che sulle virtù degli uomini. La Rivoluzione francese si appellava alla virtù. Sarebbe meglio che noi facessimo il contrario”.

Il consiglio non ha cessato di influire anche dopo la scomparsa del suo funesto promotore: dal cinema all’arte in genere il compiacimento del negativo e la sua estetizzazione hanno spopolato.

Il rischio di diventare impopolari ed elitari proponendo modelli “alti” è anche quello di liberare l’immaginazione dalle catene della paura.

Bloch prosegue: “Si perdonerà a un francese, cioè a un uomo civile, che è tutt’uno, se a questo insegnamento preferisce quello di Montesquieu: in uno stato popolare occorre una forza propulsiva, e questa forza è la virtù”.

Che importa se in tal modo il compito è reso più difficile, come di fatto è. Un popolo libero, i cui scopi siano nobili, corre un doppio rischio».

Sarantis Thanopulos: «Cara Monica, i personaggi “popolari” -il politico mediatico, l’imprenditore di successo, l’artista “quotato”, l’uomo dello spettacolo acclamato, lo scienziato “famoso”, l’influencer, il calciatore osannato, l’”esperto”o l’”opinionista” rampante – espropriano i cittadini, nello spazio in cui la popolarità si afferma come norma di gusto e di giudizio, della proprietà dei loro desideri, sentimenti e pensieri.

Privano la democrazia del suo primo fondamento: il pensiero critico.

Quando la loro presenza diventa dominio, sostituiscono le idee capaci di incidere nella nostra cultura di vita, promuovendone lo sviluppo e la trasformazione, con “macchine di influenzamento”, dispositivi alienanti per l’esperienza reale di tutti, di cui essi stessi sono il prodotto (se l’alienazione, che li seduce con il successo, li fagocita).

Il funzionamento di questi dispositivi è, nella sua forma pura, psicotico. Ciò è evidente nella popolarità di Hitler che ha spogliato buona parte dei tedeschi di ogni senso di responsabilità personale.

Il nazismo ha creato effettivamente il suo consenso con l’induzione calcolata dei vizi.

Penso che il vizio possa essere definito concisamente come desiderio pervertito in bisogno. Lo induce ogni forma di immagine o di discorso capace di creare un’alternanza di eccitazione e distensione, una via di fuga dalla complessità, imprevedibilità del vivere.

L’uso ideologico della “formula” (che sottomette il pensiero e l’immaginazione alle “piattaforme”, facendo della vita uno spettacolo il cui unico scopo è di andare avanti) perverte il nostro rapporto con la scienza.

Quest’ultima non coincide con le proprie strutture formali.

Le partiture di Bach, esemplari per rigore formale, ci aiutano a capire qual’è il vero valore della scoperta scientifica. Essa ispira una visuale nuova, definendone l’apertura e la spazialità, non è chiusa in se stessa. La scienza non è di per sé popolare, la formula può diventarlo».