Con il saggio critico di Valerio Dehò Georg Zuter, astrazione solare si apre il volume dedicato all’opera di Zuter (1942-2016), pubblicato dalla riminese NFC edizioni in occasione della mostra antologica, da Dehò medesimo allestita, presso la Galleria Stefano Forni di Bologna. Nella monografia sono riprodotte opere su tela datate dal 1969 al 2016, e ventuno opere su carta eseguite nei primi anni Settanta. Gli oli su tela sono sei e risalgono al quadriennio 1969-1972.

Cinquantuno altresì sono gli acrilici su tela, eseguiti nel quindicennio tra il 2000 e il 2016. Ritengo opportuno soffermarmi a considerare l’immagine riprodotta nella copertina del volume. Credo che in essa si possano rinvenire alcuni elementi, essenziali per impostare una valutazione critica dell’artista tedesco che, dopo un esordio particolarmente romettente (come documentano gli assai lusinghieri riscontri ottenuti dalle sue prime personali in Germania, in Inghilterra, in Italia), si stabilisce non ancora trentenne a Ginostra, sull’isola di Stromboli, lontano dal mercato dell’arte. Dunque l’immagine di copertina. Si tratta di una fotografia scattata nell’atelier di Zuter a Ginostra. La luce cala da un lucernaio a vetri aperto oltre le travi del controsoffitto di canne delle antiche case eoliane. Una luce radente che mette in evidenza le irregolarità dell’intonaco della parete, dello scialbo di bianca calce. Dall’impiantito in cemento della stanza, al centro del bordo inferiore della parete, emerge un tratto della vena di lava che corre nel terreno ove la casa fu eretta. Una presenza domestica della vita del vulcano. Un segno della sua forza. Latente, non sopita. E un monito, forse un memento sulla fragilità della condizione umana. In ogni caso una traccia che Zuter ha voluto non solo mantenere ben visibile, ma esaltare quando ha deciso di appendere una grande tela al di sopra di questa materia combusta che, nella scabrosità del suo impasto, conserva un senso plastico della dinamica che un tempo la muoveva incandescente. Ora l’insieme della parete di Zuter consta d’un suo equilibrio compositivo. Vi interviene la luce che varia nell’alternarsi delle ore del giorno e nel mutare dei cieli ora limpidi ora velati. Cambia col succedersi delle stagioni. Si oscura al calare delle notti in ombre d’una maggiore o minore intensità a seconda delle fasi lunari.

Così, volta a volta, prendono cadenze diverse gli screpoli e i grumi e le scrostature del rinzaffo a calce. La tela, perfettamente tesa, polita, liscia col suo appretto di cementite, intatta. Zuter non l’ha mai toccata. Nel corso di trenta anni, lente, senza rumore alcuno, inavvertite solo le leggere polveri si sono depositate su quella intonsa superficie. Come la polvere che vela i lucidi legni dei liuti e dei violini di Evaristo Baschenis all’Accademia Carrara di Bergamo. Viole di Baschenis affidate ai silenzi, poggiate tra velluti senza suoni. E la tela di Zuter lasciata a custodire una assenza di colori. Strumenti musicali non suonati. Una tela non dipinta. Collocare in una sospensione gli strumenti che consentono di eseguire l’opera. Dello strumento interdirsi l’impiego. Scioglierlo dalla funzione per la quale fu concepito. E affidare lo strumento, il dispositivo che è votato ad esaurirsi nell’esecuzione, alla latitudine assoluta, al tempo che compete all’opera che lo strumento, per l’appunto, ha da realizzare. Fa dunque Zuter della tela intatta posta al centro della parete dell’atelier, accanto allo zoccolo di lava e sulla calce dell’intonaco un’opera d’arte. Oppure, al contrario, la tela nello studio di Ginostra è in attesa del suo appropriato compimento? Pronta, preparata per quando Zuter deciderà di dipingerla? Nel caso della ricerca pittorica di Zuter le due soluzioni (e le due domande) sono legittime, ma le risposte richiedono attente specificazioni. Certo che chi avrà modo di sfogliare il prezioso volume curato da Dehò non mancherà di sorprendersi nel constatare che le pitture di Zuter (nel loro trionfo di rigorosi ed esaltanti accostamenti cromatici) si interrompono nel 1972 e riprendono, dopo un arco di trent’anni nel 2000, senza alcuna apparente interruzione, anzi, in piena continuità. Varrà la pena di studiare ancora un artista di tale forza e intensità.