Durante la sua lunga testimonianza, il capo della polizia di Minneapolis Medaria Arradondo non ha usato mezzi termini per condannare le azioni di Derek Chauvin, l’ex poliziotto accusato dell’omicidio di George Floyd: «Continuare ad applicare quel livello di forza a una persona che è per terra, ammanettata dietro la schiena, che in nessun modo rappresenta una minaccia, non fa parte della nostra formazione né certamente fa parte della nostra etica o dei nostri valori».
Questo tipo di dichiarazione sta sgretolando il cosiddetto «muro blu», il patto non scritto per cui, se un poliziotto è accusato, il corpo di polizia fa quadrato per difenderlo a prescindere dalla sua colpevolezza. Tra coloro che si sono uniti ad Arradondo come testimoni dell’accusa ci sono anche il tenente Richard Zimmerman, il più anziano degli agenti del dipartimento di polizia di Minneapolis, l’ispettore Katie Blackwell, all’epoca comandante della divisione di addestramento, e David Pleoger, ex supervisore di Chauvin.
Pleoger ha affermato che quando Floyd «non stava più offrendo alcuna resistenza, gli agenti avrebbero potuto porre fine alla loro azione» e che Chauvin inizialmente non aveva rivelato di essersi inginocchiato sul collo.
Zimmerman è arrivato sulla scena dopo che Floyd era stato portato via in ambulanza e al processo ha dichiarato che quello che aveva fatto Chauvin era «totalmente non necessario», aggiungendo di non vedere «alcun motivo per cui gli agenti potessero sentirsi in pericolo: per usare quel tipo di forza è necessario essere in presenza di un grave pericolo».
Queste dichiarazioni di accusa diretta servono alla polizia di Minneapolis per condannare un crimine che loro stessi definiscono «indifendibile». Un modo per separare, agli occhi dell’opinione pubblica i poliziotti buoni da quelli cattivi (anche se Floyd non è certo un’eccezione di violenza razzista da parte della polizia americana). Un modo anche, per molti poliziotti afroamericani, come lo stesso Arradondo, per non rompere con la propria comunità.
Così la prima linea di difesa dell’avvocato di Chauvin, Eric Nelson, secondo cui Floyd rappresentava un pericolo imminente per il suo assistito, è stata smantellata, come la tesi secondo cui l’agente stava solo applicando una mossa di routine e che siano stati l’uso di droghe illegali da parte di Floyd e le sue condizioni di salute a causarne la morte.
L’ufficio del medico legale della contea, però, ha classificato la morte di Floyd come omicidio: è morto per «arresto cardiopolmonare, contenzione e compressione del collo». Questa tesi è stata ripetuta da Martin Tobin, esperto pneumologo: «George Floyd è morto a causa di un basso livello di ossigeno e questo ha causato danni al cervello e ha fatto fermare il cuore».
Dopo di lui ha testimoniato Andrew Baker, il medico legale della contea di Hennepin che ha eseguito l’autopsia su Floyd. Ha ripetuto la sua dichiarazione: la morte di Floyd «il risultato di un omicidio».