Al terzo assalto in tre mesi – il secondo sulle rive del Tamigi – la Gran Bretagna e Londra si raccolgono e vanno avanti. London Bridge e Borough Market, altri due luoghi simbolo della città – il mercato risale agli inizi del millennio, il ponte, che unisce la parte meridionale della City con il quartiere di Southwark, ha ispirato canzoni ed è quotidianamente percorso da migliaia di persone che si recano al lavoro -, sono stati riaperti, come anche le stazioni della metropolitana circostanti. Sui ponti saranno ora disposte delle barriere di cemento, simili a quelle che da anni proteggono Westminster.

La polizia ha reso noti i nomi di due attentatori: Khuram Butt, 27 anni, pakistano naturalizzato inglese e Rachid Redouane, di 30, di origini libico-marocchine. Il bilancio dell’attacco di sabato sera con un terzo complice armati di furgone e coltelli è finora di sette morti esclusi gli attentatori, 50 feriti, 21 dei quali gravi e 6 non ancora identificati: mancano all’appello una giovane australiana, uno ragazzo spagnolo, due francesi e tre giovani inglesi. Ieri sera, vicino Tower Bridge, si è tenuta una veglia per le vittime. Dopo un mero stop di 24 ore alla campagna elettorale, la corsa alle elezioni è ripresa regolarmente ieri in segno di fermezza. A meno di tre giorni alle urne, il paese si accinge all’appuntamento in un maelstrom di rabbia, orrore, sbigottimento e temperanza.

Isis ha rivendicato la strage, ma secondo gli investigatori tutti e tre le trame sono state intessute qui in Gran Bretagna. Anche per questo non sono stati i servizi segreti ad agire in risposta all’attacco, che ha neutralizzato gli aggressori in otto minuti, ma la semplice polizia, coadiuvata da reparti speciali antiterrorismo. Ma se la risposta a quest’assalto è stata gestita brillantemente, lo scacco resta nell’averlo subito. Tutti gli attentatori dei tre attacchi, Masood, Abedi e ora i tre di London Bridge erano effettivamente già noti alla polizia.

Theresa May ha presieduto l’ennesima riunione dell’ormai arcinoto comitato sulla sicurezza Cobra. Il livello della soglia di rischio non è tornato a essere critico, segno che la polizia non ritiene che la cellula avesse per ora altre diramazioni. Ma resta «grave», il che implica un altro attacco ritenuto come «assai probabile». Domenica mattina la polizia ha effettuato 12 arresti nei quartieri di East London di Barking e East Ham, dove viveva uno degli attentatori: già noto a – ma ancora non ufficialmente identificato da Scotland Yard, l’uomo era stato ripetutamente denunciato dalla comunità per la sua ortodossia delirante. Eppure nessuno ha svolto indagini approfondite su di lui.

Nel difendere il ruolo della polizia, il neo-capo della Metropolitan Police, Cressida Dick, ha parlato di 23mila filo-jihadisti nel radar degli inquirenti, che avrebbero sventato 18 attentati dal 2013, di cui cinque soltanto nelle ultime nove settimane. Un’escalation che coniuga gli appelli della propaganda via internet a colpire durante il Ramadan con il dilagare di un bricolage del terrore effettivamente impossibile da monitorare, dove ciascuno può trasformarsi in un boia suicida grazie all’accesso a oggetti del quotidiano facilmente reperibili e trasformabili a loro volta in utensili di morte. Ma anche Dick, assurta nel ruolo dopo l’attacco a Westminster di Khalid Masood, lo scorso marzo, ha una vistosa macchia nel suo Cv: fu responsabile della morte del malcapitato giovane brasiliano Jean Charles de Menezes, erroneamente ritenuto uno dei fuggitivi dell’attentato multiplo del 7 luglio 2005 e ucciso nella stazione metro di Stockwell da agenti speciali.

Intanto nella sempre più lunga lista delle vittime – e delle esequie, delle veglie, degli appelli all’unità – si sta insinuando la fatale rassegnazione a un pericolo permanente. Fa fede la pur benigna retorica sullo stoicismo della capitale: ma se il suo spirito non è ancora domo, di certo non è più indomito.

Il trauma devastante di una scorreria omicida dai connotati biblici è un peso immane col quale convivere, anche per la città che ha saputo con successo convivere per anni con le bombe tedesche e per decenni con quelle dell’Ira.