Nel pieno dello stato di emergenza, in mezzo agli interminabili abusi di un regime che, dal colpo di Stato del 2009, si è tenuto stretto il potere con ogni mezzo possibile, il popolo dell’Honduras ha saputo scrivere una pagina di dignità, di solidarietà e di coraggio.

Perché è stato davvero uno schiaffo al governo golpista di Juan Orlando Hernández il rifiuto della polizia di reprimere le legittime mobilitazioni di una popolazione che sta sfidando il coprifuoco per esigere il rispetto della volontà espressa nelle urne: «Non spareremo al popolo di cui anche noi siamo parte», ha annunciato a sorpresa una delle forze speciali della polizia, l’unità d’élite Cobra, rientrando per protesta nelle caserme.

E se il segretario alla Sicurezza Julián Tinoco ha provato subito a ricondurre l’atto di disobbedienza a mere rivendicazioni salariali (peraltro legittime), promettendo aumenti e gratifiche, la polizia è rimasta sulle sue posizioni: non è una battaglia lavorativa, ha spiegato, ma «dissenso» verso ciò che sta accadendo nel Paese.

Così, riprendendo il loro posto dopo il giorno di sciopero, gli agenti di polizia hanno ribadito che il loro compito sarà piuttosto quello di garantire la sicurezza dei manifestanti, «accompagnandoli in modo che possano tornare a casa tranquillamente. Il popolo è sovrano ed è a questo che dobbiamo rendere conto».

E mentre gli stessi osservatori dell’Oea e della Ue evidenziano numerose irregolarità nello scrutinio e il vero vincitore delle elezioni, Salvador Nasralla, propone il riconteggio di tutti i voti o ricorso al ballottaggio (non previsto però dalla legge elettorale), anche la Provincia centroamericana della Compagnia di Gesù, esprimendo sui dati elettorali «non il sospetto, ma la certezza di una grossolana manipolazione», si è duramente schierata contro un regime che pure, all’epoca del golpe, aveva ricevuto la benedizione dell’arcivescovo Óscar Rodríguez Maradiaga.