Con i sistemi di assistenza di cui il nostro paese dovrebbe poter disporre la piccola Nicole si sarebbe salvata. Se, purtroppo, le cose sono andate in maniera tragicamente diversa, vuol dire che le incapacità dei suoi piccoli polmoni sono state aggravate da quelle di un sistema sanitario che per qualche ragione non rispetta i diritti Da questa semplice e banale considerazione derivano parecchie implicazioni. La prima è che le incapacità respiratorie di Nicole in nessun caso si possono curare con altre incapacità.

Le altre implicazioni riguardano l’atto di cura necessario per quanto circoscritto a qualche emergenza individuale e locale è sempre l’espressione di un sistema più grande; l’efficacia e l’affidabilità di un sistema sanitario si verifica, non nella sua attività ordinaria ma nella contingenza; l’emergenza per definizione è contingente, i problemi dell’ emergenza si affrontano con una organizzazione flessibile in grado di servirsi di tutte le possibilità di cura che sono disponibili nel sistema, se le possibilità di cura sono scarse può capitare che il diritto di vivere sia negato.

I problemi di Nicole, e quelli legati al pronto soccorso, ma più in generale all’ospedale, non sono diversi perché riconducibili ad una precisa politica sanitaria. Le responsabilità morali giuridiche tecniche di questa politica sono correlate e riguardano tutti, ripeto tutti, i livelli istituzionali che governano la sanità proprio perché le responsabilità politiche sono trasversali. Quelle tecniche che pur esistono soprattutto nelle situazioni complesse vengono dopo cioè sono, in generale, derivate e subvenienti . Oggi in sanità si lavora male e non per colpa degli operatori.

Tutti i commenti degli esperti riconducono la morte di Nicole, in un modo o nell’altro, alle politiche sanitarie restrittive che in particolare colpiscono la rete ospedaliera. Nella situazione particolare di Nicole a questa verità nazionale si aggiungono altre verità siciliane: la mancata applicazione del piano dei punti nascita, carenza di pronto soccorsi pediatrici specialistici, neonatologia fuori standard minimo,( un posto letto ogni 750 nati), una casa di cura accreditata ma con importanti carenze strutturali, disomogenea distribuzione nel territorio di unità di terapia intensiva neonatale ecc. Ma questa scarsità, disomogeneità, disorganizzazione da cosa dipende e perché essa si accanisce in particolare sui malati più deboli come i neonati al punto da far pensare che gli adulti siano addirittura più assistiti di loro?
Il calo delle nascite nel nostro paese oltre ai tagli lineari ha indotto nel sistema sanitario forti contrazioni dell’offerta di servizi dedicati, in più quello della neonatologia in particolare è un settore ad alta costosità nel quale il rapporto costi benefici è spesso molto squilibrato, difficile da redistribuire in un territorio, quindi più incline ad essere concentrato in poche soluzioni regionali per ragioni di soglie minime e di volumi . Ma questa specificità è enormemente accentuata dalle politiche che stanno ridimensionando la rete ospedaliera in tutto il paese.

Vorrei ricordare che Nicole è morta prima di tutto perché non è nata in un ospedale e poi perché tre ospedali non potendola ricoverare l’hanno rifiutata. Ebbene nessuno ha notato che all’indomani della sua morte, in modo involontariamente beffardo e provocatorio, il Consiglio di Stato ha approvato il regolamento che definisce i nuovi standard ospedalieri su proposta della conferenza Stato-Regioni. Questo regolamento taglia ancora 3000 posti letto che si andranno ad aggiungere ai 71000 eliminati negli ultimi 15 anni. A questa massiccia riduzione di posti letto, bisogna aggiungere gli effetti devastanti del blocco del turn over per il personale, circa 24mila unità in meno nel Servizio sanitario nazionale dal 2009 ad oggi, con carichi di lavoro sempre più pesanti e con effetti dirompenti sulla qualità delle cure.

Vorrei ricordare che Nicole è morta anche a causa della distanza assassina che c’era per raggiungere l’unico ospedale in grado di accoglierla. Ebbene oggi le Regioni mentre propongono al governo di tagliare le loro dotazioni finanziarie per la sanità di 2 mld, per risparmiare sui costi della gestione stanno allargando gli ambiti territoriali delle aziende e i bacini di utenza dei servizi, quindi accorpando i servizi in aree vaste, in macro aziende, aumentando di fatto lo spazio-tempo tra il bisogno e la risposta di assistenza.
Mentre Nicole muore nello spazio tempo della sua emergenza è in atto un formidabile processo di deterritorializzazione e di delocalizzazione della sanità. Il fattore spazio temporale è il fattore più importante per rispondere efficacemente ad una emergenza. Agli orientamenti regionali di concentrazione/centralizzazione si tenta di compensare organizzando reti per l’emergenza e l’urgenza, o reti ospedaliere (hub spoke) ma se il continuo spazio temporale del bisogno non è garantito perché comunque gli ambiti operativi delle reti sono troppo grandi, e le maglie delle reti troppo ampie si avranno inevitabilmente altri casi Nicole. Il problema vero è che oggi la dimensione ottimale dei servizi e quindi delle reti è tarata sui criteri di economia di scala non su quelli di prossimità rispetto al bisogno.
In conclusione se guardo ai processi di riordino in corso penso che in prospettiva i casi come quello di Nicole si ripeteranno e cresceranno di numero, cioè la riduzione eccessiva dei posti letto e la delocalizzazione dei sistemi sanitari peserà sulle probabilità di sopravvivenza delle persone.

La morte di Nicole ci sbatte in faccia una verità scomoda: oggi l’esito delle malattie non dipende solo da cause naturali ma anche dalla sanità che si ha nella propria regione. La sanità è entrata a far parte del destino delle persone. Pochi giorni prima della morte di Nicole (26 gennaio 2015) la Regione Sicilia ha approvato il riordino della rete ospedaliera. Il criterio guida, spiegato dall’assessore Borsellino, è risparmiare sui costi di gestione accorpando gli ospedali e diminuendo i reparti (da 1.340 a 916).