Con il rito presieduto da papa Francesco nella basilica di san Pietro – mentre il suo elemosiniere, cardinal Krajewski, era al santuario di Fatima, in Portogallo -, Bergoglio ha celebrato ieri pomeriggio l’atto di consacrazione al Cuore immacolato di Maria della Russia e dell’Ucraina perché «cessi la guerra».

Per i credenti si tratta di un solenne atto di fede, ispirato a una devozione mariana cara alla tradizione cattolica, che però Francesco aggiorna, sganciandola dalle correnti intransigenti che vedevano nella guerra una sorta di punizione divina per gli uomini che si erano allontanati dalle prescrizioni della Chiesa. In senso generale, diventa anche un gesto politico, come lo furono il digiuno e la veglia di preghiera per la Siria nel 2013, quando Usa e Regno Unito erano sul punto di bombardare Assad. Perché in un contesto in cui l’unica strada per fermare la guerra sembra essere l’invio di armi in Ucraina, il pontefice propone altre vie. Ai credenti (anche) quella della preghiera. Alla politica quella del negoziato e del disarmo («i governanti capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione», «spendere il 2% per cento del Pil in armamenti è pazzia», ha detto negli ultimi due giorni).

«In questi giorni, notizie e immagini di morte continuano a entrare nelle nostre case, mentre le bombe distruggono le abitazioni di tanti nostri fratelli e sorelle ucraini inermi», ha detto Francesco nell’omelia, precisando poi il valore del rito per i credenti: «Non si tratta di una formula magica, ma di un atto spirituale dei figli che, nella tribolazione di questa guerra crudele e insensata che minaccia il mondo, ricorrono alla Madre».

Nella formula dell’«atto di consacrazione», invece, è possibile scorgere anche i significati più politici del rito. «Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli e le speranze dei giovani», si legge nella formula pronunciata dal papa, «ci siamo rinchiusi in interessi nazionalisti», «abbiamo preferito accumulare armi, dimenticandoci che siamo custodi del nostro prossimo e della stessa casa comune. Abbiamo dilaniato con la guerra il giardino della Terra».

«Mi pare che Bergoglio metta in rilievo la responsabilità degli uomini nella guerra», spiega al manifesto Daniele Menozzi, professore emerito di storia contemporanea alla Normale di Pisa e studioso del papato. «È abbastanza chiara, anche se non esplicitata, probabilmente per mantenere aperti canali diplomatici, l’indicazione che ci sia una responsabilità della Russia: la violazione degli impegni presi con la comunità delle Nazioni si riferisce alle infrazioni al diritto internazionale dello Stato aggressore. Mentre il cedimento a interessi nazionalistici mi sembra un riferimento a tendenze presenti nel paese aggredito. Il papa non prende posizione a favore dell’uno o dell’altro, ma dice che gli uomini non si rendono contro che dopo la seconda guerra mondiale avevano costruito degli strumenti per impedire che si ripetessero gli orrori della guerra, e la Russia li ha violati; avevano capito che le spinte nazionalistiche portano al conflitto, e l’Ucraina si è lasciata attraversare da pulsioni nazionalistiche».

Nella parte conclusiva dell’atto di consacrazione al Cuore immacolato di Maria «dell’umanità intera, in modo speciale della Russia e dell’Ucraina», pronunciato da Francesco, la preghiera mariana per la fine del conflitto: «Fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace». Ma anche per la conversione degli esseri umani, perché diventino «artigiani di comunione», cioè si impegnino a costruire una società fraterna.