La bicicletta emblema del binomio modernismo-modernità. Nel ‘900 la lotta tra conservatori e innovatori vede protagonista e vittima le donne. Il ritardo del movimento femminista italiano, del movimento operaio e dei partiti della sinistra. Oggi la bicicletta è il mezzo di spostamento dei nuovi proletari. Ne parliamo con Stefano Pivato, autore di Storia sociale della bicicletta ( il Mulino, euro 22). Pivato insegna Storia contemporanea all’Università di Urbino. Ha scritto I comunisti mangiano i bambini, Favole e politica, I comunisti sulla luna. Con Paul Dietschy Storia dello sport in Italia.

La storia sociale della bicicletta è anche politica?

Da un punto di vista sociale la bicicletta coinvolge tanti aspetti politici, il mondo cattolico, il socialismo di inizio ‘900, le donne vittime di pregiudizi, la Chiesa. In quegli anni, mentre all’estero, in Inghilterra, negli Stati uniti, le femministe riconoscono che ha fatto molto di più la bicicletta per l’emancipazione della donna che altre battaglie, in Italia le femministe si tengono distanti dalla bicicletta, perché c’è la cappa della cultura cattolica che incombe. Per quanto riguarda la Resistenza, non si sapeva che la bicicletta avesse avuto un ruolo così grande. Il fascismo promuove lo sport femminile e incoraggia le donne ad andare in bicicletta, perché vuole donne forti in grado di generare una prole guerriera, tanto che diventa uno dei motivi di contrasto più evidenti con la Chiesa.

La questione della donna diventa centrale?

Sì, tutto il dibattito ruota sulla questione gonna o pantalone in bicicletta. L’ala più radicale del femminismo italiano sul proprio giornale l’Alleanza, sosteneva che era una questione secondaria, che vi erano problemi più importanti. Quando a Milano due donne in Galleria Emanuele indossano gonne pantaloni, sono costrette a rifugiarsi in un bar per sfuggire al linciaggio, secondo quanto riportano gli articoli del Corriere della Sera e i rapporti di polizia. Il movimento femminista italiano esprimeva una cultura cattolica e conservatrice, non osava mettersi contro la Chiesa.

Mentre nella società infuria la polemica?

Prevalgono argomenti quali la donna attraverso il sellino si masturba, il rapporto del Mantegazza, teorico dell’Igiene sostiene che le donne in bici potevano diventare cieche.

La questione modernismo/modernità tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 ruota intorno alla bicicletta?

Per la prima volta l’uomo usa un mezzo, per non andare a piedi, e nonostante le strade sconnesse attraverso la bicicletta aumenta di quattro volte la velocità, fa 20 km all’ora, rispetto ai quattro o cinque percorsi con un passo veloce. Per la prima volta l’uomo abbandona il cavallo ed entra nell’idea di velocità.

Prova nuove sensazioni?

La letteratura del ‘900 dedicata alla bicicletta, tratta molto la sensazione del vento in faccia, della velocità, dell’ebbrezza e della gioia. La bicicletta è più democratica del cavallo, la postura del corpo di uomini e donne si tiene dritta.

La differenza tra il Tour e il Giro d’Italia?

Attraverso il Tour la Francia celebra se stessa. Parte da Parigi e arriva a Parigi ai Champs Elisee e all’Arco di Trionfo, luoghi simboli della Francia. Il Tour finisce sempre verso il 14 luglio, a volte proprio quel giorno, che celebra la presa della Bastiglia. A Parigi, la capitale, vive un quinto della popolazione francese, dieci milioni di abitanti, e la seconda città è Lione, che contende il primato a Marsiglia. Il Giro d’Italia è lo specchio del Paese, è il riflesso delle cento città di cui parla Cattaneo. Da un punto di vista sportivo il poeta Alfonso Gatto , che seguiva la corsa per l’Unità scrisse che il Giro sta al Tour come i Macchiaioli agli Impressionisti.

Il Giro d’Italia ha attraversato e raccontato tante Italie da nord a sud?

Il ciclismo parla dialetto. Fin dalla prima edizione i campioni del pedale vengono tutti dai paesi di provincia, Gimondi da Sedrina, Coppi da Castellania , non c’è un cittadino, un figlio di borghese, sono tutti figli di operai, spazzacamini, garzoni, muratori, a differenza del calcio. In quel periodo i giocatori della Juventus erano studenti dell’istituto D’Azeglio. Fino agli anni ‘40 il calcio è un fenomeno più elitario rispetto al ciclismo, che parla dialetto. Quando Ganna vince la prima edizione del Giro d’Italia nel 1909 e gli chiedono come si sente, risponde « me brusa el cul».

Nel dopoguerra il ciclismo fu il riflesso della guerra fredda attraverso le figure di Bartali e Coppi?

Nel duello tra Coppi e Bartali c’è la guerra fredda. Bartali è un campione cattolico, cristiano, devoto, dichiarato tale e osannato dal mondo cattolico. A Coppi non gliene fregava niente della politica, però la gente secondo uno schema duale da guerra fredda contrappone il cattolico Bartali al comunista Coppi, che comunista non era, anzi per le elezioni del ‘48 fece propaganda per i Comitati Civici. La storia della Dama Bianca risale al ‘53, anno della sua ultima vittoria significativa, in realtà è dal 1946 che compaiono le scritte sui muri « viva Coppi comunista, abbasso Bartali democristiano». Tutto si giocava sul piano politico, il cattolico Bartali, il comunista Coppi e il fascista Magni.

Dopo quegli anni il ciclismo viene superato dal calcio?

Dopo la strage di Superga e il Grande Torino, e soprattutto con gli anni ‘60 del boom economico, il calcio si afferma. Con il benessere economico, la bicicletta smette di essere strumento di lavoro e di diporto per comparire sul portabagagli di fianco alla valigia e diventa strumento di tempo libero durante la vacanza.

Oggi la bicicletta è centrale per la questione ecologica?

Pensiamo al movimento di critical mass, ai raduni dei giovani che attraverso la bicicletta protestano per l’ambiente, alle energie alternative, piste ciclabili. La bicicletta da espressione della modernità è diventa strumento di «antimodernità», emblema della questione ambientale e di una nuova resistenza, come quella che coinvolge i riders e i nuovi poveri, vittime della crisi economica.