È sempre affascinante vedere come le piccole cose possono assurgere alla ribalta internazionale, che si tratti di movimenti e pratiche nate «dal basso» o di opere indipendenti dell’ingegno. Per inverso, lo stesso accade quando le attenzioni del villaggio globale si posano su quanto si fa in località minori di limitata notorietà. È il caso di Pergola, piccolo comune posato sulle dolci colline marchigiane che, oltre ai suoi magnifici Bronzi Dorati, ospita da quattro anni Animavì, piccolo grande festival internazionale di cinema d’animazione e arte poetica. Sono passati da qui nel quadriennio registi cinematografici di importanza mondiale quali Wim Wenders, Emir Kusturica, Aleksandr Sokurov e quest’anno Jim Jarmusch. Lo stesso dicasi di maestri del corto animato come lo svizzero Georges Schwizgebel, omaggiato con retrospettiva l’anno scorso e presente in questa edizione con La battaglia di San Romano ispirato al quadro di Paolo Uccello, l’australiano Dennis Tupicoff e il polacco Jerzy Kucia, illustratore anche del manifesto e in giuria quest’anno con il cantautore Brunori Sas e Mimmo Cuticchio, figura di spicco dell’Opera dei pupi.
Il Festival è nato dal progetto di Simone Massi, animatore, regista e illustratore originario di Pergola, oltre che direttore artistico del festival. Con il direttore organizzativo Mattia Priori e il fondamentale sostegno dell’associazione Ars Animae, persone che mettono con convinzione tempo e energia per dare gambe, corpo e anima alla manifestazione, sono riusciti a fare di casa propria un punto d’incontro qualitativamente alto, un centro di riferimento di stile ma anche fucina di nuovi talenti del cinema di animazione. Quindi il concorso del corso di perfezionamento di disegno animato e fumetto della Scuola del Libro di Urbino, finalizzato alla formazione di autori e professionisti in grado di operare presso le più qualificate case editrici e di produzione nei settori del cinema d’animazione, del fumetto e dell’illustrazione.
Dal confronto di 16 opere di tutto il globo del concorso internazionale però si trae soprattutto lo spirito poetico delle immagini in movimento, anche quando si toccano concrete tragedie politiche come nel caso di Missing di Lucía Gajá e Emilio Ramos. Con intensa raffigurazione allegorica, legando terra, lavoro e identità, i registi messicani rievocano il dramma della sparizione forzata di 43 studenti di Iguala nel settembre 2014, facendo sentire con le voci concitate e le immagini trattate lo sgomento, ma anche la speranza che conclude aprendo: «Ci hanno seppelliti, ma non sapevano che eravamo semi». La sensibilità germoglia anche astraendo dalle contingenze materiali oppure guardandole di traverso o in dettaglio, come in Colocataires della francese Delphine Priest-Mahéo. L’ordinaria quotidianità ripetitiva di Camille, che vive da sola con il gatto e lavora alla cassa di un supermercato, viene sconvolta dalla presenza di un uomo che s’insinua in casa sua, vivendoci nelle ore in cui lei è fuori. La discrezione di una colonna sonora praticamente senza parole e i segni pieni ma semplici, appena deformati perlopiù in nero su bianco, con sprazzi mirati di rosso, accentuano l’atmosfera soggettiva fra inquietudine e possibilità di altra vita.